Ci sono episodi della storia della nostra Italia talmente grotteschi, da rendere indistinguibile dove in essi finisca la farsa e inizi la tragedia. Uno di questi è il “Golpe Bianco”
Tutto comincia nel 1974 con il tenente colonnello Giuseppe Condò, militare del SIOS esercito, che ha una missione di massima rilevanza da svolgere: si deve infiltrare all’interno di un ambiente eversivo, i salotti nobiliari della contessa Maria Antonietta Nicastro.
Nei ricevimenti aristocratici di Torino, fra una nota di valzer e un bignè, si parla anche di politica e della situazione italiana: i comunisti pare possano andare al governo da un momento all’altro, gli operai e gli studenti sono in protesta perenne, cosa potrà accadere dopo?
C’è preoccupazione e fermento.
Il tenente Condò, fingendosi interessato ai programmi che hanno nobili e notabili per evitare l’infausta prospettiva di essere spazzati via, raccoglie le dirette confidenze di un anticomunista indomabile, il conte Edgardo Sogno Rata del Vallino di Ponzone.
Ovviamente monarchico, Sogno è stato un partigiano e uno spericolato eroe della Resistenza: durante la guerra, travestito da nazista, si era intrufolato nel quartier generale delle SS a Milano per provare a liberare Ferruccio Parri.
Poi però viene scoperto, quindi è fatto prigioniero, torturato e mandato in un campo di concentramento. Riesce a sopravvivere. Dopo la caduta del nazifascismo, diventato un valente diplomatico intraprende una lotta perenne contro il comunismo, che avversa in modo così impetuoso, che sarà praticamente la sua ragione di vita.
In quel 1974 è necessario agire senza tentennamenti: il conte spiega a Condò che serva una svolta politica autoritaria e poi delle riforme (che alla fine corrispondono col piano di Rinascita della P2, dove risulterà iscritto). C’è già chi si sta muovendo:
“alla prima crisi di governo, dalla Presidenza della Repubblica verrebbe proposta una riforma elettorale (collegio uninominale) ed alcuni ritocchi costituzionali tendenti a condurre ad un Governo di legislature (tipo Germania cancellierato di 4 anni). Col nuovo sistema elettorale si dimezzerebbero i deputati e i senatori comunisti; qualora dalla piazza (sinistra e extraparlamentari di sinistra) vi fosse una reazione, scatterebbe (da parte dei Prefetti) un ‘piano di emergenza’, cioè misure atte a impedirla. Si vorrebbe conoscere come si comporterebbe l’Esercito, ove fosse chiamato in causa”.
Il tenente Condò prende nota e manda le sue relazioni ai superiori. Il “piano di emergenza” è un colpo di Stato vero e proprio, che si può concretizzare anche susseguentemente a tumulti o attentati, una situazione dove verrebbe meno qualunque diritto costituzionale. Il Servizio Segreto, con le informazioni in mano, si adopera perché il Golpe non possa attuarsi.
Ovviamente, non per fedeltà alla democrazia (mai illudersi di ciò), ma solo per mere questioni di sopravvivenza al potere. Il dossier arriva al generale Vito Miceli, capo del SID, altro anticomunista “paranoico in senso clinico” e piduista della prima ora: è stato lo stesso Licio Gelli a piazzarlo al vertice del Servizio Segreto nel 1969, tramite il Ministro Tanassi. Ma diversamente da Sogno, Miceli è un fascista, un militare aspro, viscerale e reazionario, pure coinvolto nel Golpe Borghese.
Il materiale raccolto da Condò serve a Miceli perché dentro il SID è in atto una rivoluzione, lo vogliono far fuori, facendo leva proprio sui fatti della notte dell’Immacolata. È una lotta intestina, dentro e fuori la P2, dove i nuovi tecnocrati (i “bianchi”) vogliono imporre un rinnovamento politico (liberale di destra) tagliando al contempo i vecchi rami compromessi con il principe Borghese (che sono i “neri”).
Fra queste trame occulte c’è quindi Sogno, che si muove come una scheggia impazzita, chiedendo adesioni ad ufficiali dell’Esercito, della Guardia di Finanza, dell’Arma, come se, da un momento all’altro, si dovesse riprendere la battaglia.
Nei “neri” invece abbiamo i rimasugli del vecchio Golpe Borghese, militari e benpensanti filo-fascisti, che dal 1973 hanno ripreso fiato e vorrebbero imporre i modi di Pinochet. A qualche generale vanno bene entrambi, un golpe vale l’altro, basta che ci si muova.
Per l’estate del 1974 sono previsti attentati, stragi e il colpo di Stato finale, un’azione sul tipo Blitzkrieg, da effettuarsi quando la gente è in vacanza
Nel mare in tempesta i Servizi Segreti sono l’avamposto strategico della lotta, il terrorismo è quello militare, quello che deve creare le condizioni politiche per la richiesta d’ordine, mentre la stampa segue e aggiorna gli italiani sugli attacchi che le fazioni al potere si sferrano.
Bombe e Golpe, fra le notizie del referendum sul divorzio, le crisi di Governo, lo scudetto della Lazio e i film con Bud Spencer. Sul fronte del tritolo la manovalanza neonazista è lanciata verso massacri indiscriminati (definiti testualmente “sacrifici umani”), convinta da militari e da gente come Rauti che si possa fare ciò che è avvenuto in Grecia, in Cile, in Turchia e altrove.
I Servizi Segreti sono aggiornati, ma come possono bloccare i seguaci di Freda? Appare difficile fermare delle organizzazioni paramilitari clandestine, che si sono messe in cellule e dove si conoscono a malapena fra di loro. La magistratura, poi, non si può coinvolgere, verrebbero fuori tutte le magagne politiche e le correlazioni ad ogni livello.
Non si muove nulla o quasi
L’unico che viene fermato, scovato all’alba in cima all’Appennino e ucciso a fucilate, è Giancarlo Esposti, che aveva l’idea di sparare al Presidente della Repubblica Giovanni Leone.
Sul resto amen. A Brescia, in una manifestazione sindacale muoiono 8 persone, sull’Italicus 12, anche se hanno rischiato di morire tutti i passeggeri (e difatti l’ignaro Aldo Moro, con una scusa, viene fatto scendere da quel treno in partenza da Roma).
I nazional-rivoluzionari in agosto attendono un colpo di Stato che non arriva. Niente misure d’emergenza, niente scontri e niente intervento dell’esercito. È successo qualcosa prima.
Se sulle stragi nessuno si è mosso, sui golpe, veri o presunti, su quale dovesse essere la linea politica vincente, si è arrivati allo scontro frontale, “bianchi” contro “neri”. A nessuno infatti piace di perdere il comando.
Nel luglio sono arrivate sul tavolo di Andreotti, Ministro della Difesa, due relazioni: una è quella che aveva promosso lui, attinente al Golpe Borghese, fatta dal generale Gianadelio Maletti e dal capitano Antonio Labruna. C’è il coinvolgimento dimostrato del generale Miceli nei fatti del 1970. Miceli però, da par suo, in quel mese ha già dato ad Andreotti la relazione sul Golpe Bianco. Anche lì ci sono diversi nomi, soprattutto militari, ma anche politici. Come la mettiamo?
Andreotti fa diramare strette misure anti-golpe, silura Miceli e sostituisce diversi generali. Poi deve far sparire tutte le tracce della battaglia e limitare i danni. Dato che congiurati e anti-congiurati sono quasi tutti della P2, fa snellire i dossier del SID, dove vengono tolti i riferimenti su Gelli e sulla sua loggia, prima che li vedano i magistrati (e ai quali saranno passate solo una parte delle trascrizioni).
Il rischio di finire nel pantano tutti insieme sarebbe alto. Il lavoro di censura non salva però il Ministro dal ricatto, anzi.
Il giornalista anarco-piduista Carmine Pecorelli, tramite la sua agenzia di stampa OP, conosce i retroscena e li usa per attaccare “il Divo Giulio” con la storia del “malloppone” che è diventato “malloppino” (e col fatto che abbia scompigliato la nostra intelligence per machiavellismo politico).
Andreotti incassa in silenzio, sperando che sulla sua gobba non gli arrivino, poi, delle bastonate più grosse. Per ora è ancora lui al comando. Gelli intanto ha inabissato il metodo del Golpe e si produce in un’occupazione territoriale di tutte le stanze del potere possibile, pubbliche e private, soprattutto nella stampa.
Junio Valerio Borghese, latitante in Spagna (ospite del dittatore Francisco Franco) invece vede finire la sua epoca in ogni senso, perché il 26 agosto muore improvvisamente, forse per pancreatite, forse perché avvelenato.
A settembre Miceli finisce sotto accusa da parte di giornali e magistrati. Scrive ad Andreotti direttamente.
O lo si aiuta o parla, perché alla gogna solitaria non ci sta proprio:
“In tale situazione, Le chiedo, signor ministro, di attuare quanto riterrà opportuno per un chiarimento ufficiale, oppure di sciogliermi dal vincolo del segreto (previa autorizzazione del signor Presidente del Consiglio), affinché io abbia la possibilità di far conoscere l’attività svolta nei delicati incarichi ricoperti, i procedimenti tecnici seguiti ed i risultati”.
In ottobre il generale è arrestato per cospirazione: uno scandalo enorme. Evita il carcere facendosi portare al policlinico militare Celio di Roma, dove gli sarà diagnosticato un po’ di cerume nelle orecchie. Andreotti lo salva poi in inverno, grazie alle manovre dei suoi fedeli giudici romani, che riescono a prendere in mano l’inchiesta.