Angoscia esistenziale: che cos’è e perché la proviamo?

angoscia

L’angoscia secondo Kierkegaard: “lo stato emotivo dell’uomo quando riflette sulla sua situazione nel mondo”

A tutti è capitato e capita di sentirsi “angosciati” e non sapere il perché. O probabilmente di perché ce ne sarebbero troppi, ma non sapremmo neanche distinguerli così nettamente. Ciò accade perché l’angoscia è probabilmente lo stato d’animo più difficile da spiegare e da sostenere. Spesso si maschera da paura o ansia, ma è molto più insidiosa.

Ma chi ha parlato per la prima volta di angoscia?

La nozione di angoscia fu introdotta a metà del XIX secolo dal danese Søren Kierkegaard.
Nel “Concetto dell’Angoscia”, Kierkegaard chiarì che si tratta di un sentimento diverso dalla paura, dal timore e dall’ansia. Infatti, queste emozioni presuppongono sempre un motivo determinato e specifico. L’angoscia invece, non si riferisce a qualcosa di preciso né dipende da un pericolo reale, ma è una disperazione senza motivo apparente. Potremmo definirla come “lo stato emotivo dell’uomo quando riflette sulla sua situazione nel mondo”.

Per il filosofo, questo senso doloroso dell’esistenza è una componente essenziale della spiritualità umana. Dunque non è presente negli animali che, nella loro natura, non sono determinati come spirito. Va da sé che sarà minore anche nell’individuo dotato di una più debole spiritualità.

La possibilità di fallire genera angoscia

Kierkegaard considerò l’angoscia “una conseguenza della perenne incertezza su cui poggia la condizione umana”.
Più specificamente, si focalizzò sul concetto di possibilità, sottolineandone l’ambivalenza di significato. “Nel possibile tutto è possibile” sostenne il filosofo, collegandosi al principio dell’infinità e dell’onnipotenza del possibile e intendendo dire che ogni possibilità favorevole all’uomo, è annientata dall’infinito numero delle possibilità sfavorevoli.

L’individuo infatti è perennemente esposto alla nullificazione dei propri progetti. E per quanto abbia una propensione a progettare il futuro e a sforzarsi di essere costruttivo, in ogni proposito umano è insita la possibilità di realizzarsi o di fallire, a prescindere da ogni buona volontà.

Quindi, nel mondo dei desideri e degli eventi umani, la probabilità più favorevole non ha più speranze di riuscita di quella più tragica. L’angoscia nasce proprio da questa consapevolezza e per questi motivi riguarda sempre il nostro rapporto con il futuro.

Il concetto di angoscia ripreso da Heidegger

Nella filosofia contemporanea, la nozione kierkegaardiana di angoscia fu ripresa da M. Heidegger. Per Heidegger l’angoscia è il sentimento che accompagna l’esistenza umana ed è propria dell’individuo che assume la consapevolezza (tanto evidente quanto inaccettabile per la psiche) di “essere per la morte”.

Viene quindi ripreso il concetto di angoscia intesa come “sentimento della mancanza di alternative” che caratterizza l’esistenza umana, in quanto siamo destinati alla morte e dunque ogni “disegno umano” risulta effimero.

Provare angoscia non significa quindi avere paura di morire, ma sapere di “vivere per morire” e per quanto i progetti di vita cerchino di trascendere questa amara verità, basta un attimo per ricadere nella consapevolezza di una realtà di fatto.

L’unica possibilità per l’uomo, è la sola accettazione del proprio destino che dovrebbe portarlo a vivere la vita con libertà e autenticità. Cioè: se ogni scelta porta comunque ad un solo destino finale, tanto vale scegliere ciò che ci permette di vivere liberamente e nel pieno rispetto di ciò che siamo. Se a nulla vale fare progetti, ancora più vano sarebbe farli sotto influenza altrui o per assecondare le aspettative di chi ci circonda. Heidegger asserì quindi che “l’angoscia libera l’uomo dalle possibilità nulle e lo fa libero per quelle autentiche”.

Le opere di Munch

Il concetto di angoscia è centrale anche nella poetica di molti pittori, primo tra tutti il norvegese E. Munch. Egli riuscì a riprodurre il suo senso di angoscia esistenziale nella maggior parte delle proprie opere.

Famosissimo è il dipinto intitolato L’Urlo, che si riferisce a un momento realmente vissuto dall’artista:

Camminavo lungo la strada con due amici quando il sole tramontò, il cielo si tinse all’improvviso di rosso sangue. Mi fermai, mi appoggiai stanco morto ad un recinto. Sul fiordo neroazzurro e sulla città c’erano sangue e lingue di fuoco. I miei amici continuavano a camminare e io tremavo ancora di paura… e sentivo che un grande urlo infinito pervadeva la natura.

Munch rimase ossessionato dall’episodio a tal punto da produrre più di cinquanta varianti pittoriche e grafiche di quest’opera.

Anche in altre opere di Munch sono riportate sofferenza, angoscia e paura di vivere, a tal punto che è stata avanzata l’ipotesi di una sua malattia mentale (schizofrenia). Dal punto di vista stilistico l’artista suggerisce un senso di angoscia attraverso un uso esasperato della linea curva. Questa spesso e volentieri avvolge i suoi personaggi (che appaiono sempre senza un volto chiaramente definito) come in una spirale o vortice, come ad esempio nel quadro “Il bacio” del 1897-1898.

Sembrerebbe che Munch abbia saputo riprodurre “artisticamente” alla perfezione ciò che Kierkegaard e Heidegger avevano espresso a parole. Questo a dimostrazione di quanto l’angoscia appartenga da sempre a un sentire comune e renda l’uomo così meravigliosamente disarmato di fronte alle incertezze e alla precarietà della vita!

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