Facebook banna i negazionisti dell’Olocausto

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Negazionisti dell’Olocausto bannati da Facebook

Facebook banna i negazionisti dell’Olocausto: questa la decisione del suo fondatore. I negazionisti della shoah non sono al sicuro sul social di Zuckerberg. Ecco la decisione: appena qualcuno digiterà la parola Olocausto Facebook reindirizzerà la ricerca a pagine che possano fornire delle informazioni storicamente corrette.

Da cosa nasce questa decisione? Il fondatore di Facebook, Mark Zuckerberg, si è finalmente reso conto di quanta poca informazione ci sia intorno a un avvenimento storico così importante e segnante.

Tra i cinque e i sei milioni sarebbero le vittime del genocidio nazista, e i negazionisti dell’Olocausto non credono alla loro morte? La storia insegna altro: le leggi razziali, l’esistenza dei campi di concentramento, i numeri tatuati sulle braccia dei superstiti testimoniano uno degli orrori più grandi dell’umanità. E forse è proprio per questo, che finalmente anche il mondo dei social si muove in questa direzione.

Un cambio di rotta per Zuckerberg

Nel 2018, Zuckerberg doveva esprimersi a riguardo: bannare o meno i contenuti che negavano l’avvenuto sterminio di ebrei, omosessuali, disabili e dissidenti politici? All’epoca la risposta fu no: nonostante fosse terribile e offensivo, in nome della libertà di espressione veniva consentita la diffusione di informazioni sbagliate, la minimizzazione dell’Olocausto e l’esistenza di gruppi di negazionisti. Cosa è cambiato? I numeri.

Il fondatore di Facebook si è reso conto che i dati testimoniano un aumento della violenza antisemita e la diffusione massiccia dell’odio. L’incitamento all’odio e alla violenza, è contrario non solo al più elementare e innato senso di umanità, ma anche al regolamento dei social. Inoltre ci si rende conto che un’ampia fetta di popolazione più giovane, soprattutto di statunitensi, ritiene che l’Olocausto sia un mito. Che sia una pecca nel sistema educativo o meno, si rende necessario un intervento. E, considerata l’importanza del mondo dei social nella nostra vita, questo è un passo decisivo. Dunque il regolamento di Facebook non ammetterà più chi nega l’esistenza dell’Olocausto.

L’odio, la violenza e la storia sui social: Facebook banna i negazionisti dell’Olocausto

Del resto, sui social l’ondata di odio e di violenza verbale non è un fenomeno nuovo: haters e cyber-bullismo sono all’ordine del giorno.

Qui, però, c’è un’aggravante: si tratta di disinformazione, di negare un fatto storico. Ma quello che è successo non può essere negato e soprattutto non può essere dimenticato. La storia dovrebbe insegnarci a non commettere più gli stessi errori, dovrebbe essere di monito alle generazioni future. O almeno questo è quello che ci hanno insegnato. Proprio in nome di questo Zuckerberg ha compiuto un passo: se i social sono un mezzo di connessione e di informazione, la sua piattaforma dovrà contribuire a educare e informare tutti coloro che, in buona o cattiva fede, inseriscano nella barra di ricerca la parola Olocausto. Quelle che si troveranno davanti, non dovranno più essere pagine che incitano a un altro genocidio del genere, pagine antisemite, gruppi inneggianti all’odio o utenti che affermino che non sia mai avvenuto, ma si troveranno davanti alla verità. Fra il 1939 e il 1945 furono perseguitati e uccisi circa sei milioni di ebrei dal regime nazista.  I disinformati dovranno sapere. L’Olocausto non potrà più essere considerato un mito, né potrà essere raccontato in maniera distorta.

Il significato della memoria

“La memoria è un dovere. Per tutti gli uomini. Si mancherebbe al dovere di trasmettere quello che si è vissuto.” Queste le parole di un sopravvissuto italiano che ha fatto della sua esperienza un libro: Primo Levi. Se questo è un uomo è stata la sua testimonianza: scritto affinché nessuno dimenticasse le atrocità avvenute, un libro pubblicato per confermare a chi non c’era e non lo ha vissuto, che l’Olocausto è avvenuto davvero. Ed è questa la missione di un’altra illustre sopravvissuta, la senatrice Liliana Segre. Proprio pochi giorni fa, il 9 ottobre, nella Cittadella della Pace di Rondine ha raccontato la sua testimonianza: le leggi razziali, l’espulsione da scuola, la deportazione, l’incubo del lager e alla fine la libertà. E come si può negare, come si può solo averne il coraggio, quando l’orrore di un tale avvenimento si può vedere negli occhi di una donna di novant’anni?
La memoria continua a vivere attraverso gli sguardi e i racconti dei superstiti, attraverso i nomi di coloro che non ce l’hanno fatta, tramite i libri lasciati ai posteri e a partire da adesso, anche sui social.

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