I fiori del male: canto di una bellezza estratta dal Male
Baudelaire: la voce della contraddittorietà umana. Il 9 aprile del 1821 nasceva a Parigi Charles Baudelaire.
La sua voce – la più alta del Decadentismo – si propaga nella realtà attuale, confermandosi come “il più grande esempio di poesia moderna in qualsiasi lingua” (T.S. Eliot).
I versi raccolti nelle pagine di Baudelaire tracciano nella mente del lettore i lineamenti di un poeta “maledetto”, di colui che ha scelto il male e l’abiezione in un gesto di estremo rifiuto nei confronti della società.
Nel segno di una vita sregolata e votata alla perdizione, l’autore getta la sua anima in un vortice di autoannientamento, che solo consente di sfuggire alla noia e al vuoto della realtà moderna.
Per questo motivo – e contrariamente a quanto era stato realizzato da una lunga tradizione letteraria – la poesia di Baudelaire si propone di “estrarre la bellezza dal Male”, al fine di scavare a fondo nell’animo umano, dove le ombre si celano alla falsa luce dell’ordinario e della banalità. La letteratura si traduce, in tal modo, nell’estrema negazione della società e dei suoi valori e ideali. Negazione che si materializza nell’urlo disperato di un’anima fiera e debole a un tempo: quella di Baudelaire.
I fiori del male: Spleen e Ideale si confrontano nella dimensione poetica
La raccolta lirica de I fiori del male è un disegno organico in cui prendono forma le istanze ideologiche che il poeta maturò nel corso della sua attività intellettuale.
I 126 componimenti sono distribuiti in sei sezioni. Nella prima parte, intitolata Spleen e Ideale, l’autore affronta il conflitto interiore che si svolge tra due stati esistenziali contrapposti. Infatti, egli cerca di sfuggire allo Spleen, uno stato di noia e di avversione nei confronti della realtà circostante, protendendosi verso l’Ideale, rappresentato dalla bellezza e dalla purezza originaria di un passato lontano. I Quadri parigini rendono, però, la delusione di Baudelaire dinanzi alla vanità dell’Ideale. In preda al senso di colpa e indotto da una volontà di degradazione, il poeta si immerge allora nello scenario oscuro e alienante della città industriale parigina.
Eppure, la ricerca di una via di evasione riemerge con forza nelle sezioni successive (Il vino e I fiori del male): qui l’io lirico tenta la fuga (dalla realtà) mediante i fumi dell’alcol e dell’oppio e sprofonda nel vizio e nella “sregolatezza dei sensi” (Arthur Rimbaud).
Questi ultimi, tuttavia, sono tentativi vani che inducono il poeta, in una condizione di folle disperazione, ad appellarsi a Satana ne La rivolta. È soltanto al termine di questo percorso poetico ed esistenziale insieme, che la verità si mostra, autentica e terribile, all’intelletto umano. A questo punto della raccolta, l’autore può intraprendere un viaggio e incamminarsi verso quel traguardo ignoto che è La morte. In essa sarà possibile attingere al senso di tutte le cose.
“Estrarre la bellezza dal Male”: la voce della contraddittorietà umana
Il carattere provocatorio e deformante della poesia di Baudelaire giace nel titolo stesso de I fiori del male.
Non è un caso se, a differenza della tradizione lirica precedente, l’autore abbia associato i fiori – simbolo per eccellenza di bellezza – all’idea del male, del peccato e della corruzione. Essi non valgono più a rinsaldare il legame dell’uomo con la natura; ma a sancire una rottura, l’impossibilità di attingere ad una condizione di innocenza originaria. Nella degradazione a cui la civiltà moderna ha condannato l’uomo, non resta che abbandonarsi al vizio e al peccato, alla delusione e alla colpa. Rassegnarsi all’irrimediabile perdita dei valori del passato.
E lunghi funerali lentamente
senza tamburi sfilano né musica
dentro l’anima: vinta, la Speranza
piange, e l’atroce Angoscia sul mio cranio
pianta, despota, il suo vessillo nero