La blackface nel 2020: forma di razzismo o di ingenuo divertimento?
Negli ultimi giorni si è discusso su un argomento che suscita, come sempre, pareri contrastanti: il razzismo per l’uso della blackface nel 2020.
Tutto è partito da Venerdì 20 Novembre, durante la puntata del programma Tale e Quale Show su Rai 1 che, nella vasta gamma di artisti italiani da imitare, hanno scelto anche Ghali; per assomigliare del tutto a lui, hanno sentito la necessità di truccare anche il colore della pelle del concorrente Sergio Muniz. Decisione che ha scatenato una reazione del cantante reputata dai più eccessiva. Ma, prima di dare pareri affrettati, ripercorriamo l’origine del fenomeno blackface.
XIX secolo: ecco perché nasce la blackface
L’uso della blackface come makeup teatrale, ebbe successo fin dal XIX secolo nei teatri americani (ma, secondo alcuni, dovrebbe essere addirittura più antico) e consisteva nel dipingere i volti degli attori di nero in modo non realistico; per imitare e screditare fattezze e comportamenti delle persone di colore, considerate inferiori e ridicole. E come si faceva?
Si anneriva la pelle con sughero bruciato, si accentuavano le dimensioni delle labbra, si indossavano parrucche di lana e costumi da straccioni per entrare interamente nella parte.
Vedere in scena questo tipo di personaggio era così divertente, che addirittura le stesse persone di colore cominciavano a dipingersi il viso per parodiare se stessi e il proprio modo di essere.
La scomparsa della blackface negli Stati Uniti
La blackface si diffuse anche in Gran Bretagna. Questa “tradizione” durò perfino più a lungo di quella negli Stati Uniti; dove invece si interruppe definitivamente con il Movimento per i diritti civili degli afroamericani di Martin Luther King. Proprio perché considerata razzista e offensiva nei confronti della popolazione di colore.
E così, nella lotta per l’eliminazione di tutte le forme di razzismo, dalla più banale alla più significativa, la blackface scomparve in tutto il mondo.
È davvero scomparsa la blackface?
E invece no, perché se negli Stati Uniti non ne è rimasta traccia, qui in Italia è vista, (forse) ingenuamente, come forma di divertimento aggiuntiva, mentre si imitano la voce di un cantante e il suo “stare sul palco”, scopo principale del programma Tale e Quale Show.
Blackface nel 2020 è comunque razzismo?
Ma la blackface nel 2020 deve essere ancora interpretata come quella nel 1800?
Chiariamo un aspetto importante: imitare una persona nelle sue fattezze, acquista un significato che dipende dal contesto in cui viene fatto.
Nel caso del programma citato, truccarsi e vestirsi per assomigliare al cantante scelto, non è caricaturale, ma è lo scopo della sua originalità.
Come interpretare questa forma di divertimento
Il problema è, però, da ricercare nel tentativo di porre aspetti diversi sullo stesso piano. Imitare il colore dei capelli, pronunciare maggiormente gli zigomi o le labbra sono effettivamente la stessa cosa di imitare il colore della pelle? Forse no, se pensiamo che il colore della nostra pelle, prima di essere un carattere fisico, è innanzitutto un segno di appartenenza etnica, la quale non è stata sempre -potremmo dire proprio mai- accettata, ma considerata inferiore e selvaggia.
Ecco allora che possiamo comprendere meglio la reazione del cantante Ghali, che ne ha spiegato il motivo nelle stories di Instagram usando queste parole:
Per offendere qualcuno basta essere ignoranti, non bisogna per forza essere razzisti o guidati dall’odio […]. Non sto dicendo che c’era del razzismo in quello che ho visto, sto dicendo che l’ormai tristemente famosa “blackface” è qualcosa di cui lo spettacolo non ha più bisogno.
L’Italia è il paese della risata, ma dovremmo forse rivedere ciò che ci fa ridere?
Photocredits: @Ghali