A Napoli compaiono manifesti accusati di blasfemia. Il comune: “Non abbiamo autorizzato noi”. É polemica sulla mostra Ceci n’est pas un blasphème – Arti Censurate.
Blasfemia alla sbarra a Napoli. Si accende la polemica nei confronti di Ceci n’est pas un blasphème, Festival delle Arti per la libertà d’espressione contro la censura religiosa, in mostra al Palazzo della Arti di Napoli dal 17 settembre.
Aspre accuse nelle ultime 24 ore dai comitati dei cittadini, che lamentano la presenza di cartelloni pubblicitari riportanti grafic art condite di bestemmie e messaggi anti-clericali.
La notizia, immediatamente ripresa dalla stampa e dalla politica, sta suscitando reazioni contrastanti. L’opinione pubblica è divisa tra chi ritiene offensive le grafiche esposte e chi invece pensa che il Festival sia una boccata d’aria fresca nel panorama artistico e sociale italiano.

Il Festival delle Arti Censurate
Il progetto, diretto da Emanuela Marmo, ha come obiettivo quello di portare in mostra i lavori di artisti che – in diversa misura – hanno dovuto scendere a patti, quando non subire, forme di censura dovute al carattere anti-religioso delle loro opere. Sarà in mostra al primo piano del Palazzo delle Arti di Napoli, dal 17 al 30 settembre. Vede la partecipazioni di artisti nostrani e internazionali, quali Abel Azcona, Daniele Fabbri e Antonio Mocciola.

La polemica: libertà d’espressione o blasfemia?
La diatriba però è nata quando i comitati cittadini del centro storico di Napoli si sono accorti della presenza di cartelloni pubblicitari che riportavano grafiche di famosi marchi commerciali modificate inserendo disclaimer e loghi con bestemmie e improperi di varia natura. In una parola: blasfemia. Una volta ripresa dalla stampa mainstream, sono state immediate le reazioni di alcuni esponenti della politica locale e nazionale, che hanno colto l’occasione per accusare l’amministrazione comunale – ignara dell’affissione, che risulta abusiva – di incapacità di governo e manutenzione. Utile, in vista del periodo di elezioni alle porte.

Le opere, firmate da un artista conosciuto come Ceffon, fanno parte della mostra Ceci n’est pas un blasphème. Ma, come specificato dalla direttrice artistica, non rappresentano una forma di pubblicità del Festival. Al contrario, infatti, più che di pubblicità si tratta di subvertising, ovvero una forma di arte che si concretizza nella manipolazione degli spazi pubblicitari, spesso a fini di denuncia sociale. La scelta di affiggere, senza autorizzazione, utilizzando gli inserti di proprietà del Comune di Napoli, è stata dell’artista, che ha agito da tale. E l’accusa di blasfemia è stato il sentimento che pare aver suscitato nel pubblico.
Le grafiche oggetto di discordia riprendono lo stile di diversi brand ben conosciuti. Ma non si tratta dei soliti cartelloni pubblicitari che invadono nelle nostre città. Dico “invadono” perché è innegabile che siano invasive e prevaricanti. Inquinano la vista e l’attenzione. E lo fanno da tanto. Ora però, qualcuno si è accorto che danno fastidio.
È pacifico ritenere che il motivo di tanto astio vada ricercato nel contenuto dei manifesti, più che nel cartellone pubblicitaro in sé. Nell’accusa di blasfemia, piuttosto che nel paradigma capitalista dominante.
Come spiega bene la stessa Marmo, in un post affidato alla sua pagina Facebook:
“I poster di Ceffon contengono bestemmie e queste sono associate a marchi. Marchi commerciali o cinematografici. Perché? La religione come oggetto di bestemmia scompare. La propaganda che attira i valori di buon costume, di famiglia felice, di facile lieto fine, come una favola patinata, è la religione che ci viene comminata attraverso pubblicità seducenti, inebrianti, frizzanti e potenti agenzie di produzione che ci insegnano in quali sogni credere, come essere principesse o ranocchi. Siamo tutti pupazzetti. Contro questo l’artista bestemmia. “Bestemmia libera” non è incitamento a bestemmiare. “Libera” è l’aggettivo che qualifica la bestemmia del subvertiser. Una bestemmia che è libera persino dal sacro, al quale infatti decide di non riferirsi esplicitamente.”
Dello stesso avviso gli autori delle varie opere in mostra. Contattato da Ambasciator, il fotografo torinese Gian Paolo Bocchetti ha così riassunto la questione: la reazione è esagerata e strumentale. E ha aggiunto: “La libertà di espressione è considerata pericolosa da chi vuole dogmatizzare ogni forma d’arte.” Non si tratta quindi di blasfemia, almeno per gli artisti che hanno prodotto questi lavori.

In effetti, a pensarci bene, è probabile che il progetto stia effettivamente raggiungendo il suo obiettivo. Se l’intenzione era quella di far comprendere all’opinione pubblica che in Italia, al giorno d’oggi, ci sono ancora tremende limitazioni alla libertà d’espressione, la pubblicità offerta dalla stessa polemica che ne è scaturita è l’esempio più evidente della necessità di lavorare maggiormente su questo aspetto.
Vogliono censurare il festival contro la censura, ma ceci n’est pas un blasphème.
Link al sito del Festival: https://articensurate.it/