La pratica di coaching nel mondo del cinema
Cinema e coaching sono da sempre un’accoppiata vincente. La pratica del coaching deve davvero tanto al mondo del cinema, perché ha saputo esprimere al meglio la sua essenza.
Come sappiamo, il coaching è un rapporto professionale che si instaura tra un coach (l’allenatore) ed un coachee (allievo). Il coach aiuta l’allievo a massimizzare il proprio potenziale e raggiungere risultati, talvolta straordinari, in ambiti specifici (vita, carriera, business).
Numerosi sono i film che hanno parlato di coaching e altrettanti sono gli attori diventati famosi, proprio per il ruolo indimenticabile di coach.
Primo fra tutti? Will Smith, uno degli attori che ha fatto la storia del cinema. Indimenticabile la sua esilarante interpretazione in Hitch – Lui sì che capisce le donne , un film del 2005 diretto da Andy Tennant.
Hitch, meglio conosciuto come Dottor Rimorchio, di professione aiuta “uomini goffi e insicuri” a conquistare le donne di cui sono innamorati.
Il suo ruolo dovrebbe essere quello di un Life Coach, una figura che instaura con i propri clienti un rapporto di fiducia, finalizzato al raggiungimento di obiettivi specifici (in questo caso la conquista della donna amata) ed al miglioramento della propria vita (in particolare, la sfera privata).
Se non fosse che al nostro caro Dottor Rimorchio manchi una componente davvero importante del coaching: il self-coaching. Sempre pronto ad impartire regole ed istruzioni ai propri clienti, ma quando si tratta di mettere queste stesse regole in pratica, nella propria sfera privata, dimostra di essere una vera frana. Però è proprio questo aspetto a rendere la commedia divertente: il fatto che Hitch sia un coach davvero poco credibile.
La morale del film infatti è che non esistono regole universali da seguire in amore, così come l’obiettivo del coaching non è dare soluzioni ed istruzioni che siano valide per tutti. Un bravo coach infatti, non è né un insegnante, né un mentore, né uno psicologico. É piuttosto una sorta di “allenatore della psiche” che non deve dirci cosa dobbiamo fare né come lo dobbiamo fare, ma deve guidarci a scoprirlo autonomamente .
Regole fondamentali: non esistono!
Hitch
Coaching
Avere un coach significa quindi “affidarsi completamente a qualcuno che ha visto un potenziale in noi e vuole guidarci ad esprimerlo al meglio, riducendo al minimo ogni tipo di interferenza, sia interna che esterna“.
Gli obiettivi da raggiungere devono essere smart, cioè devono avere una scadenza spazio-temporale precisa. Ma, qualunque sia l’obiettivo finale, la costante è una sempre maggiore acquisizione di autoconsapevolezza e autonomia da parte del coachee. Affinché ciò avvenga, il coach deve affiancare costantemente l’allievo, attraverso un metodo di allenamento personalizzato, tagliato su misura, e valutare le prestazioni in un periodo di tempo ben definito.
É ciò che avviene in un meraviglioso film del 2004, Million Dollar Baby, ispirato ad una storia vera. Fu diretto e prodotto da Clint Eastwood e interpretato dallo stesso Eastwood insieme a Hilary Swank e Morgan Freeman. Frankie, allenatore di boxe di mezz’età ed in piena crisi mistica, dopo un iniziale rifiuto, decide di accogliere la giovane e talentuosa Maggie sotto la sua ala. Vede in lei coraggio, determinazione, potenziale inespresso. Il coaching di Frank si rivela essere straordinario. Si basa su un affiancamento continuo, fatto di incontri, di allenamenti, di disciplina e trasferimento di competenze:
La boxe è qualcosa di innaturale perché si fa sempre tutto al contrario. Quando vuoi spostarti a sinistra, non fai un passo a sinistra: spingi sull’alluce destro. Per spostarti a destra usi l’alluce sinistro. Invece di allontanarti dal dolore come farebbe qualunque persona sana, gli vai incontro. Tutto nella boxe funziona al contrario.
Frankie
Tra i due si instaura un rapporto profondo e complementare: “non voglio altri allenatori, capo. Io voglio lei”; è un continuo e costante scegliersi a vicenda. Grazie all’assiduo supporto di Frankie, Meggie impara a conoscersi, a guardare dentro di sé, diventando una straordinaria atleta di competizione. Purtroppo però, sarà proprio l’incontro di boxe più importante della sua vita a strapparle di mano il suo sogno, con un tragico epilogo.
Questo capolavoro, le cui riprese furono completate in soli 37 giorni, fu acclamato dalla critica, aggiudicandosi quattro premi Oscar, ed ha rappresentato nel migliore dei modi l’essenza del coaching: aiutare qualcun altro a trovare dentro di sé la chiave del proprio successo, quella che apre la porta dei propri sogni. Ed anche se questi dovessero durare poco, vale sempre la pena averli vissuti.
Quando è entrata da quella porta aveva solo coraggio e nessuna possibilità di diventare quello che voleva. Un anno e mezzo dopo lei ha combattuto per il titolo mondiale, il merito è tuo. La gente muore ogni giorno, Frankie, mentre lucida il pavimento o lava i piatti, sai qual è il loro ultimo pensiero? ‘Non ho mai avuto un’occasione’; invece grazie a te Maggie ce l’ha avuta e se morisse oggi sai quale sarebbe il suo ultimo pensiero? ‘Ho avuto l’occasione che volevo’.
Il momento più significativo del coaching : il feedback
Il momento più significativo del coaching è sicuramente il feedback, che si insinua tra una prestazione e l’altra. Il feedback è il momento della restituzione all’allievo, da parte dell’allenatore, di percezioni e resoconti sul suo operato, sul saper fare, saper essere e quindi sull’efficacia delle sue prestazioni.
Dare feedback significa dare all’altro nutrimento, cioè la possibilità di diventare consapevole dei propri limiti, ma anche dei propri miglioramenti. É come se il coach facesse da specchio al coachee, raccontandogli nient’altro che ciò che vede.
Impossibile non menzionare il grandissimo Robin Williams, nel ruolo di dispensatore di feedback, in più di un film che lo ha reso indimenticabile.
Primo fra tutti, Will Hunting – Genio ribelle, film del 1997 diretto da Gus Van Sant. Will, un ragazzo prodigio, ma dal carattere ribelle e problematico, inizia un percorso terapeutico con il dottor Sean, interpretato appunto da Robin Williams. Quest’ultimo trova inizialmente difficoltà a creare un legame con il ragazzo, spesso spigoloso e indomabile.
Ma, dopo un iniziale braccio di ferro, Sean mostra di essere un vero coach, per Will, facendogli da faro in mezzo ad una grane tempesta interiore.
In che modo? Semplicemente sedendogli accanto, guardandolo negli occhi e fotografando con le parole tutto ciò vede. Vede un genio, un genio dalla grande cultura, ma sarà difficile per lui lasciare un segno nella vita degli altri, poiché non mette mai in gioco il cuore, per paura di soffrire.
Se ti chiedessi sull’arte probabilmente mi citeresti tutti i libri di arte mai scritti […] Ma scommetto che non sai dirmi che odore c’è nella Cappella Sistina. […] Se ti chiedessi sulle donne, probabilmente mi faresti un compendio sulle tue preferenze[…] ma non sai dirmi che cosa si prova a risvegliarsi accanto a una donna e sentirsi veramente felici. Sei uno tosto.[…] Se ti chiedessi sull’amore probabilmente mi diresti un sonetto. Ma guardando una donna non sei mai stato del tutto vulnerabile[…]Non c’è niente che possa imparare da te che non legga in qualche libro. A meno che tu non voglia parlare di te. Di chi sei. Allora la cosa mi affascina. Ci sto. Ma tu non vuoi farlo… vero, campione? Sei terrorizzato da quello che diresti. … A te la mossa, capo.
Nel secondo capolavoro, L’attimo fuggente, film del 1989 diretto da Peter Weir, Robin Williams veste i panni di John Keating, un professore di letteratura. I suoi metodi di insegnamento, in un collegio maschile del Vermont, sono a dir poco bizzarri e anticonvenzionali: sale sulla cattedra “per trasmettere l’idea che le cose possano essere viste non solo da un punto di vista”; coinvolge i suoi allevi; vuole che siano partecipi e che si mettano alla prova. Come quando invita uno dei suoi studenti, Todd, ad alzarsi in piedi di fronte a tutta la classe e a recitare con enfasi una poesia.
Inizialmente il ragazzo mostra di essere timido e impacciato, ma John lo aiuta, lo guida, gli dà gli strumenti per lasciarsi andare. “Hai un poeta dentro di te”, gli dice, facendo luce su ciò che si nasconde dietro il velo della timidezza: una vena poetica. Aiuta lo studente a capire ciò per cui è portato, a vedere ciò che da solo non riesce a vedere.
John Keating non è il solito professore. Non trasmette passivamente il sapere, ma ha una missione: dare nutrimento, stimoli ed input continui, affinché ciascuno dei propri alunni possa imparare ad “ascoltarsi”, a captare il proprio potenziale. Cogliere l’attimo presente come il momento migliore per accendere la propria fiamma interiore. D’altronde è ciò che ciascuno di noi dovrebbe fare, tutto ciò per cui vale davvero la pena vivere.
Adesso avvicinatevi tutti, e guardate questi visi del passato: li avrete visti mille volte, ma non credo che li abbiate mai guardati. Non sono molto diversi da voi, vero? […]Avranno atteso finché non è stato troppo tardi per realizzare almeno un briciolo del loro potenziale? Perché vedete, questi ragazzi ora sono concime per i fiori. Ma se ascoltate con attenzione li sentirete bisbigliare il loro monito. Coraggio, accostatevi! Ascoltate! Sentite? “Carpe”, “Carpe diem”, “Cogliete l’attimo, ragazzi”, “Rendete straordinaria la vostra vita”!
ambasciator.it
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STEFANO POPOLO
CEO & Founder
Classe 1993, fondatore di Ambasciator e giornalista pubblicista.
Ho pensato al nome Ambasciator per raccontare fedelmente la storia delle persone, come strumento e mezzo di comunicazione senza schieramenti. Ambasciator, non porta penna.