Cronache dall’Antico Continente, una saga fantasy italiana scritta da Gabriella Ronza, il cui secondo volume “La mano dell’innocente” uscito da poco.
Una lunga gestazione quella del secondo volume della saga “Cronache dall’Antico Continente” uscito da poco in libreria di cui abbiamo discusso con la scrittrice napoletana e docente di lettere Gabriella Ronza.

Trama:
Poco meno di un anno è passato dal sofferto primo duello tra Lux e Malus.
Sulle note di un canto profetico intonato dalle sirene, Hiriel riprende i suoi studi a Magna, accompagnata dagli ormai insostituibili Aralia e Glauco.
E lì, avvolto dalla stessa maledizione di amore e morte, c’è il suo nemico.
Eppure, nulla è rimasto com’era.
Un terribile vento di guerra spira sull’Antico Continente e, tra nuove certezze e vecchi fantasmi, nessuno può più far finta di niente.
Scrivere fantasy in Italia non è cosa semplice ma il successo della saga “Cronache dall’Antico Continente” dimostra che è possibile veicolare, attraverso il genere, tematiche importanti soprattutto tra lettori giovani. Com’è stato rapportarsi appunto con i tuoi giovani lettori proprio a ridosso del secondo volume pubblicato?
Beh, anzitutto definiscimi la parola “successo” (ride, ndr.). A parte gli scherzi, mi lusinga questa introduzione, ma credo che la strada sia ancora molto lunga per definirlo un successo. Sicuramente, ho avuto l’occasione – grazie e tramite la mia saga – di relazionarmi a tante persone in questi anni. Tra queste, come giustamente affermi, tantissimi giovani. La saga è stata presentata ad esempio nelle scuole. E questa è un’arma a doppio taglio. Spesso i giovani vivono le esperienze scolastiche, pur se diversificate dalla semplice didattica, come un obbligo. Per appassionarli, soprattutto durante gli “Incontri come autore”, mi è stata utile la mia recente esperienza accumulata come docente. Ho cercato di evitare tutto quel modus operandi che so che annoierebbe i miei studenti.
Ciò che caratterizza i lettori più giovani è sicuramente la “personalizzazione” dell’esperienza di lettura. Sapere, insomma, che pur tra draghi, spade e incantesimi quei libri in qualche modo parlano a loro e di loro. Rapportarsi con questo tipo di lettori è sempre un arricchimento. Non è mai un monologo, è un dialogo e un confronto.
Ultimamente alcuni ragazzi di una scuola mi hanno perfino parlato dei propri progetti di scrittura e mi hanno detto che leggere il mio libro li ha spronati a crederci.
All’interno del secondo volume, rispetto al primo, si respira un clima molto più teso e contraddistinto da giochi politici in un mondo “magico” fondato sui quattro elementi. Quali sono state le scelte che hai compiuto in fase di scrittura circa l’evoluzione dei personaggi e qual è stato il momento di scrittura più intenso e complesso?
La scrittura del primo volume è ancora molto acerba e immatura, ricordo di aver cominciato a pensarlo e a scriverlo, con dovute revisioni, tra i 14 e i 18-20 anni. Nel secondo volume ho cercato di evolvere e con me ho trascinato i personaggi. Hiriel e Heric, in particolar modo, dovevano svilupparsi.
Nel precedente romanzo avevano subito un “trauma” con le rivelazioni che avevano ascoltato, non potevano restare i ragazzini fondamentalmente viziati che erano stati fino ad allora. Il momento di scrittura più intenso e complesso è stato sicuramente quello legato alle pagine sull’infanzia di Heric, essenziali per capire il suo carattere e la relazione con il padre.
Si respira area degli studi classici e del tuo background personale all’interno della saga. Andando per immagini, quali sono stati i paesaggi dell’Italia meridionale a cui ti sei ispirata e quali invece i classici a cui sei più legata e che magari hanno fatto da fondamenta a quello che poi risulta essere lo scheletro leggendario che alberga all’interno delle “Cronache dell’Antico Continente”?
Ho passato la mia adolescenza alla Reggia di Caserta e l’intera architettura dell’Accademia di Magna ne ha subito l’ispirazione. In Marinia, in realtà, c’è tanto di Napoli e in Kora, invece, tanto di alcune città dell’Umbria.
Credo sarei accusata di blasfemia, se citassi classici che potrebbero aver influenzato i miei romanzi. Non ritengo la mia scrittura all’altezza di alcun libro che ho adorato o semplicemente letto negli ultimi anni. Direi, tuttavia, che diventare una lettrice sempre più completa e onnivora ha migliorato gran parte della mia scrittura e se qualcuno nota delle differenza tra il primo e il secondo volume vuol dire che ho un debito molto grande nei confronti dei più grandi romanzieri degli ultimi due secoli, non solo fantasy.
Dal punto di vista editoriale, quella della saga è stata una storia particolare. Qual è il tuo rapporto con il mondo dell’editoria italiana e c’è qualche consiglio che vorresti condividere con chi ha l’ambizione di scrivere come te una saga fantasy?
È un rapporto di rispetto per chi fa bene il proprio lavoro. Consiglio di ponderare sempre bene e con criterio gli eventuali contratti che arriveranno e di non firmare se non si è sicuri di quello che si sta facendo e delle persone con cui ci si sta relazionando. Si tratta di rapporti lavorativi e, come tali, si devono prendere e vivere con la massima serietà e professionalità.
In questo secondo volume il lettore si addentrerà sempre più anche nello sviluppo della storia d’amore. Quanto è stato difficile scrivere questa parte del libro e quali cliché volevi assolutamente evitare?
Parlare d’amore cercando di essere non banali è sempre estremamente difficile. Oggi non scriverei molte cose che ho scritto nel primo volume e limerei molte altre presenti nel secondo. “Concretizzare” l’amore, cioè ridimensionarlo cercando di incastrarlo nelle strette pareti della quotidianità, è ahimè un processo naturale con la maturità e l’avanzare dell’età.
Ma il mio è in parte un epic fantasy e forse è giusto abbia contemplato l’aspetto più epico e totalizzante di questo sentimento. So già, tuttavia, che arriverà un punto della saga in cui anche l’amore dovrà essere indagato in modo – come dire – più “realistico”.
Fin dall’inizio volevo evitare i cliché del genere young adult. Volevo che i lettori sapessero che Heric e Hiriel non c’entrassero nulla insieme e che solo da una “costrizione” sarebbe potuto nascere qualcosa tra loro.
Nella realtà sappiamo tutti che non funzionerebbe mai. Eppure, proprio questa certezza ci fa comprendere quanta sofferenza ci sia in tutte scelte che compiono.
Se Hiriel fosse stata come Arian, se Heric fosse stato più accogliente o buono, se non ci fosse stata la maledizione o la guerra, se, se, se, quanti “se” usiamo in amore? Se io avessi detto, se lui avesse fatto. Ma è questo il segreto: nel vero amore i “se” non esistono. È tutto naturale e combaciante.
Hiriel e Heric lo sanno e forse lo sappiamo anche noi, per questo il vero ostacolo non esiste all’esterno del loro amore, è tutto dentro… Anche questo potrebbe essere un cliché, ma spero me lo perdoniate perché – in fondo – è la verità che tutti noi, prima o poi, abbiamo verificato o verificheremo nella nostra vita.
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