Le parole dello scrittore rivendicano l’orgoglio del Popolo Napoletano in Napòlide
De Luca Repubblica partenopea. Erri De Luca è certamente uno dei nomi più altisonanti della letteratura contemporanea europea.
Il suo stile, intriso di durezza e poesia, forza e “sospensione”, rispondono appieno alle peculiarità della terra (la nostra!) a cui lo scrittore appartiene: “incastonata” tra cielo e mare, in un’oscillazione continua tra la durezza di una vita difficile e l’elegia di un destino sconvolgente.
Un altro figlio di Napoli che, come tale, ha ripetutamente avvertito una innata necessità di denunciare lo status quo della nostra città – che quasi assorbe ogni energia fisica, minandone i tratti distintivi – rimarcando la sua atavica bellezza, salvifica e talvolta inquisitrice, seppur in un contesto dove le verità più inside e nascoste emergono come tante bolle d’aria.
L’occupazione dei giacobini nel 1799. Il racconto in Napòlide
Nulla nasce da nulla e niente nella storia avviene per caso.
A Napoli si conosce bene questa teoria da almeno 160 anni e lo scrittore napoletano, in un estratto tratto da Napòlide, si è così espresso sui fatti dell’Unità d’Italia e sulla Repubblica giacobina del 1799, che vedono una Capitale ridursi a “semplice” provincia di un regno retto da un invasore:
«In vita mia mi sono sempre appassionato di rivoluzioni.
I tristi fatti del 1799 non rientrano però nella specie.
Si trattò di un cambio di regime introdotte dalle armi francesi e crollato appena quelle armi si ritirarono.
Le rivoluzioni non si possono appaltare. I francesi agirono a Napoli da occupanti e da predoni. Imposero tasse a loro beneficio e portarono via un bel po’ di patrimonio artistico. Allora spendo due parole di stima per il popolo di Napoli, non plebe ma popolo, che da solo fermò l’esercito del più forte esercito d’Europa. Per due giorni sbarrò ogni strada e capitolò solo perché tradito dai giacobini locali che consegnarono il forte di Sant’Elmo ai francesi. […] Non ho paura di mettere anche gli italiani in fondo all’elenco degli occupanti del golfo. Garibaldi non veniva a liberare Napoli ma a prenderla. Napoli da allora è una capitale europea abrogata, non decaduta ma soppressa … Se non si vede l’evidenza dell’enorme orgoglio assopito dei suoi cittadini, non si sta parlando di lei!».
Non chiamatelo revisionismo
De Luca Repubblica partenopea. Le parole di un autorevole esponente della cultura coeva – certamente lontano da ambienti reazionari e conservatori – scardinano l’idea che quanto sta emergendo sulle atroci modalità con cui l’Italia è stata “creata” non può essere ascritto ad un ambito “revisionistico”, ma alla ricostruzione, mattone dopo mattone, di quanto avvenne in quegli anni che diedero inizio alla tuttora esistente “Questione meridionale”.