Cultura del sospetto o allarmante diffusione di illegalità?

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Punto focale: venirne a capo

“Si è perso il contatto con noi stessi: non indugiamo più su noi stessi. E questo dipende molto dalla velocità della comunicazione, che non ci mette più in condizioni di indugiare su nulla”.

Sergio Zavoli

È una delle riflessioni di Sergio Zavoli; maestro inimitabile di intere generazioni. In effetti, a ben ponderare su tale affermazione, non si può tacere come, evidentemente, siamo tutti pervasi da un eccesso di disaffezione nei confronti del contesto che viviamo.

Un tempo che non riusciamo a comprendere e che, purtroppo, stentiamo a spiegare; basta una folata di vento e dalla brezza si passa alla tempesta.
Non abbiamo più vie di mezzo, non conosciamo i mezzi termini e, in verità, neppure prestiamo attenzione con chi ci interfacciamo. Le nuove generazioni, per giunta, appaiono assai lontane dal contare “fino a dieci”, prima di esprimersi.

In qualunque campo, in qualsiasi settore. Politico, sociale, economico, giornaliero; appena si ha una qualche responsabilità – anche a livello di circolo ricreativo – ci si erge a giudici, si spalancano le porte all’autoreferenzialità ed alla tracotanza, all’azione tendente alla sopraffazione. Poco importa l’ambito di interfaccia, la connotazione di coloro che ne compongono la qualità umana e la quantità sinergica; si pretende e punto. A prescindere, cosa assai grave, dal constatare come, dall’altra parte del proprio punto di vista,  possano esserci risorse avulse da qualunque pretesa.
Che non funzioni così e assai chiaro, ma cercare di spiegarlo sembra impegno improbo.

Ne “Il ragazzo che io fui” (Premio Procida – Isola di Arturo – Elsa Morante del 2012), il grande maestro ravennese, compianto solo da poche ore – passa in rassegna gli anni belli ed interessanti della favolosa carriera, da cronista radio-televisivo, narrando la propria vita; continui sbalzi nel tempo e incalzanti temi di tensione, trattati con grande rigorosità di documentazione ed estro esplicativo.

Mi è tornato alla mente, nelle ultime ore; mi accade spesso – grazie a opere lette o tematiche studiate in altra epoca –  nel vivere situazioni e apprendere accadimenti, di rinvangare nella mente e, quasi senza volerlo, trovare similitudini e appigli.

L’abitudine alla chiarezza

Sergio Zavoli successe – alla Direzione de “Il Mattino” – a Pasquale Nonno; era, il primo giorno di agosto del 1993. L’aria non era propriamente quella buona, la sede di via Chiamatone, all’epoca, era pervasa da malcontento e la nomina di chi aveva inventato il “Processo alla tappa”, era la soluzione più opportuna, per rimettere in pista la testata partenopea.

Un uomo abituato alla trasparenza, alla nettezza e schiettezza nei rapporti e nelle interlocuzioni. Con tutti.

Un uomo abituato, da sempre, ad assumersi responsabilità ed a pagare di persona.
Forse è quello che oggi manca, segnatamente determinate realtà: il pagare di persona.

Ultimamente dagli uffici indagatori escono notizie sulle più, eventuali, svariate nefandezze; giusto, doveroso, capire e, quindi, agire.

Tuttavia,  l’esperienza lo tramanda, sarebbero auspicabili informazioni, obiettive, precise e dirimenti, sul seguito che ci sarà.

In effetti, e anche in tal caso il passato insegna, ci sono diverse situazioni non approdate a niente.
È proprio in quelle circostanze che andrebbe applicato il principio del “pagare di persona”; è proprio in un determinato contesto che, forse, manca l’applicazione del principio in base al quale chi sbaglia paga
Ma questo è un altro discorso; lavoro a vuoto, costosi accorgimenti scientifici, azioni plateali senza conseguenze, nominativi in pasto al pubblico ludibrio. Tutto materiale per film già visti
E, infine, per tornare al discorso in argomento ed ai ricordi che riemergono, mi viene alla mente un’altra riflessione.

“Se fossi un uomo pubblico di qualche Paese asiatico, dove come in Giappone è costume chiedere scusa per i propri sbagli, vi chiederei scusa: scusa per il disastro seguito a Mani Pulite. Non valeva la pena di buttare all’aria il mondo precedente per cascare poi in quello attuale

Saverio Borrelli


Sarebbe il caso di pensarci

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STEFANO POPOLO

CEO & Founder

Classe 1993, fondatore di Ambasciator e giornalista pubblicista.
Ho pensato al nome Ambasciator per raccontare fedelmente la storia delle persone, come strumento e mezzo di comunicazione senza schieramenti. Ambasciator, non porta penna.

Ambasciator