7 agosto 1990 – Il delitto di via Poma

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Sono passati trent’anni dal 7 agosto del 1990 e ancora Simonetta Cesaroni aspetta di avere giustizia: chi l’ha barbaramente uccisa in quell’ufficio di via Poma non ha ancora un nome.

Simonetta Cesaroni era una ragazza nata il 5 novembre 1969 che viveva a Roma, in zona Palmiro Togliatti, e che, dal gennaio 1990, lavorava come segretaria presso la Reli Sas, uno studio commerciale, che aveva tra i suoi clienti la A.I.A.G.; Simonetta venne incaricata di prestare lavoro come contabile per alcuni giorni alla settimana presso gli uffici di questo cliente in via Poma 2; era molto riservata e neanche la famiglia era a conoscenza dell’ubicazione degli uffici della A.I.A.G. dove lavorava saltuariamente, così come nessuno sapeva, tranne la madre, delle telefonate anonime che riceveva sul posto di lavoro.

Il pomeriggio del 7 agosto 1990 Simonetta si era recata presso la sede dell’A.I.A.G. in via Poma per sbrigare alcune pratiche; avrebbe poi dovuto chiamare Volponi verso le 18.20 per dirgli come procedeva il lavoro; alle 17.15 risale l’ultimo indizio che Simonetta sia ancora viva, in quanto fece una telefonata di lavoro a Luigia Berrettini.

Volponi non riceverà mai la telefonata concordata con Simonetta. I familiari, non vedendola tornare, alle 21.30 decidono di cercarla.

Accompagnati da Volponi, la sorella Paola e il proprio fidanzato giungono presso gli uffici di via Poma, dove si fanno aprire la porta dal portiere alle 23.30, trovando il cadavere di Simonetta uccisa con 29 coltellate.

Dalle indagini emerge come, dopo le 17.30, ultimo contatto di Simonetta secondo le ricostruzioni degli inquirenti, ci sia con ogni probabilità negli uffici un uomo, dal quale Simonetta fugge, dalla stanza a destra dove lavora fino a quella opposta a sinistra, dove verrà ritrovata.

Qui viene immobilizzata a terra: qualcuno si mette in ginocchio sopra di lei e le preme i fianchi con le ginocchia con tanta forza da lasciarle degli ematomi. La colpisce provocandole un trauma cranico che la fa svenire; l’assassino prende un tagliacarte e inizia a pugnalarla per 29 volte. Sei sono i colpi inferti al viso, all’altezza del sopracciglio destro, nell’occhio destro e poi nell’occhio sinistro; otto lungo tutto il corpo, sul seno e sul ventre; quattordici dal basso ventre al pube, ai lati dei genitali, sopra e sotto.

Alcuni abiti di Simonetta, fuseaux sportivi blu, la giacca e gli slip vengono portati via assieme a molti effetti personali che non saranno mai ritrovati, tra cui gli orecchini d’oro, un anello d’oro, un bracciale d’oro e un girocollo d’oro, mentre l’orologio le viene lasciato al polso. Lei viene lasciata nuda, con il reggiseno allacciato, ma calato verso il basso, con il seno scoperto, il top appoggiato sul ventre a coprire le ferite più gravi, quelle mortali. Porta addosso ancora i calzini bianchi corti, mentre le scarpe da ginnastica sono riposte ordinatamente vicino alla porta. Le chiavi dell’ufficio, che aveva nella borsa, vengono portate via.

Simonetta Cesaroni è stata sepolta nel cimitero comunale di Genzano di Roma.

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