Mr. O ricostruisce, passo dopo passo, la scomparsa della cittadina vaticana Emanuela Orlandi
2° Capitolo
Raccontare la storia di Emanuela Orlandi significa fare un viaggio, lungo 37 anni, tra ipotesi di verità. Si perché una verità non esiste ancora.
Il “caso Orlandi” è, a tutt’oggi, un caso ancora aperto.
Sono tante le ipotesi che aleggiano intorno alla vicenda di Emanuela.
Dall’allontanamento volontario al rapimento, fino al coinvolgimento dello Stato Vaticano e di quello Italiano, della banda della Magliana e dei Servizi Segreti.
La vicenda Orlandi resta uno dei più profondi misteri d’Italia, rimasto vivo nella coscienza del nostro paese, nonostante siano passati tanti anni.
Per ricostruire questa intricata vicenda, che è quella di un puzzle in cui il tassello mancante è proprio Emanuela, ho deciso di raccontare cronologicamente i fatti accaduti, affidandomi ai documenti d’indagine e ai testimoni della vicenda, in primis il fratello Pietro che da sempre è in prima linea nella ricerca della verità.
Insieme riavvolgeremo il nastro del tempo per narrare questa storia che perdura da più di 30 anni, compiendo un viaggio tra ipotesi di verità illusorie e colpi di scena sconcertanti.

In questa storia tutto è cosi incredibilmente vero da sembrare impossibile
Emanuela frequenta il liceo scientifico statale del convitto Vittorio Emanuele e ai primi di giugno del 1983 ha concluso il secondo anno. E’ stata rimandata in francese e latino.
Nata il 14 gennaio 1968 a Roma, poche ore prima della terribile scossa che sconquassò il Belice, è la quarta di cinque figli di Ercole Orlandi e Maria Pezzano.
Gli Orlandi vivono in Vaticano perché nonno Pietro, il padre di Ercole, era stato stalliere di Papa Pio XI e nel 1924 aveva ottenuto di poter abitare in un appartamento sopra la Farmacia Pontificia.
Nel 1932 fu assunto come commesso della Prefettura della Casa Pontificia, lavoro che al momento della pensione aveva potuto lasciare al figlio Ercole.
Nel 1970 Ercole fu promosso commesso del Palazzo Apostolico e gli fu assegnato l’appartamento, dove ancora oggi risiede la moglie Maria, al secondo piano della palazzina della Gendarmeria a ridosso delle mura perimetrali del Vaticano lungo via di Porta Angelica.
All’epoca le famiglie laiche che vivevano nella Città del Vaticano erano una quindicina, circa 70 persone: mogli e figli di lavoratori che, con ruoli diversi, garantivano il funzionamento del piccolo Stato.
Il lavoro di Ercole consisteva nel distribuire la posta del Pontefice, vale a dire i suoi inviti alle funzioni in San Pietro e alle sue visite alle parrocchie romane, le lettere diplomatiche, le convocazioni e gli appuntamenti per le udienze. Quello di Messo Pontificio era un normale stipendio da impiegato. Unico privilegio vero: non dover pagare la pigione, più il vantaggio delle medicine, della benzina e dei generi alimentari a prezzi scontati.
“Stavamo bene, ma senza lussi. Eravamo una famiglia normalissima, nella media, anzi un po’ sotto. Figurati che mio padre aprì il suo primo conto corrente in banca il giorno che andò in pensione. La gente è portata a concludere che, vivendo a contatto con il Papa e le alte Eminenze, i cittadini vaticani godano di chissà quali privilegi” racconta Pietro.
L’infanzia dei piccoli Orlandi è stata semplice, morigerata, senza ombre ne gialli, come qualcuno insinua ancora oggi.
Oltre a frequentare il liceo, Emanuela dal settembre 1981 studia anche flauto traverso, pianoforte e canto corale all’Accademia di Musica Tommaso Ludovico da Victoria, associata al Pontificio istituto di Musica Sacra, situata nel palazzo di Santa Apollinare al civico 49 dell’omonima piazza, a fianco della Basilica di Santa Apollinare.

La famiglia, la scuola e la musica.
Il mondo di Emanuela era questo, con i sussulti e le increspature tipiche della sua età, il candore e l’ingenuità di una ragazzina serena, che si affaccia agli anni più belli.
Mercoledì 22 giugno 1983
Emanuela, verso le 15.30, chiede al fratello Pietro di accompagnarla in moto a scuola perché era in ritardo, ma Pietro le nega il passaggio in quanto aveva preso appuntamento con la fidanzata.
Emanuela, contrariata dal rifiuto del fratello, esce sbattendo la porta di casa con la cartella degli spartiti in mano, il flauto, lo zainetto, vestita con una camicia bianca, jeans e le scarpe da ginnastica.
Fratello e sorella non si incontreranno mai più.
Non abbiamo certezze su quale strada Emanuela percorre per raggiungere la scuola di musica, se ci sia andata a piedi o come era solita fare con l’autobus n° 64.
La sorella Natalina dichiarerà che quel giorno c’era in programma uno sciopero dei mezzi pubblici, ma oggi non se ne trova traccia negli archivi dei giornali.
Forse lo sciopero era solo ventilato (era un periodo di agitazioni e scioperi dei dipendenti dell’azienda di trasporti municipale), e temendo che ci fosse davvero Emanuela al da Victoria ci andò a piedi.
Supponendo che Emanuela al conservatorio ci sia andata a piedi, è logico pensare che non abbia fatto l’itinerario dell’autobus, lungo circa due chilometri, bensì quello, lungo solo un chilometro, che costeggia il Tevere, passa davanti a Castel Sant’Angelo e attraversa il fiume a ponte Umberto I, che da su via Zanardelli, una cui traversa immette dopo meno di centocinquanta metri dal ponte, nella piazzetta del Da Victoria.
Eppure, come vedremo, c’è chi afferma di averla vista lungo corso Rinascimento, davanti al Senato.
Secondo le testimonianze di alcune compagne di classe, quel pomeriggio, Emanuela arriva a lezione in ritardo e con il fiatone, adombrando il sospetto che il ritardo sia dovuto al colloquio con un qualche presunto adescatore, così come si dirà che chiese di uscire in anticipo a causa di un ipotetico appuntamento con il misterioso adescatore.
Magari il motivo del ritardo, a patto che ci sia veramente stato, era semplicemente dovuto alla camminata e il fiatone solo perché Emanuela ha salito le scale del conservatorio di corsa.
Di certo c’è che Emanuela alle 18.50 telefona a casa e parla con la sorella Federica. Le dice che le hanno offerto un lavoro con la AVON, per pubblicizzare cosmetici a una manifestazione delle sorelle Fontana che si terrà a Palazzo Barberini, e che il compenso è di 375 mila lire. Federica le risponde di non prendere impegni, di aspettare a parlare con mamma e papà, che ora sono usciti. E’ l’ultimo contatto con la famiglia.
Altra certezza è che Emanuela Orlandi viene vista per l’ultima volta alla fermata degli autobus di piazza Madama, di fronte al Senato, attorno alle 19.20. A vederla sono due compagne del conservatorio, Raffaella Monzi e Maria Cristina Casini.
A dire della Monzi, Emanuela era in attesa con lei dell’autobus 70 per andare a prendere il 64 a largo di Torre Argentina, ma era indecisa se aspettare o no un uomo che, a quanto sembra ma non è certo, le aveva offerto un lavoro ben retribuito per la ditta di cosmetici AVON.
Tanto indecisa da non essere salita sul 26 arrivato nel frattempo, e neppure sul 70 sul quale la Monzi sale e saluta Emanuela lasciandola insieme ad un’altra ragazza dai capelli ricci appena giunta alla fermata, ma a lei sconosciuta e mai identificata.
Questa “ragazza dai capelli ricci” assieme a Emanuela Orlandi viene vista anche da Maria Grazia Casini, che si trova a passare da lì.
Da questo momento, il buio…..