La strage dell’Italicus: una strage senza colpevoli ne mandanti

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Il più grave attentato degli anni settanta, senza esiti giudiziari e senza memoria 

Nella notte di domenica 4 agosto 1974, all’1.25, il potente ordigno collocato sull’espresso Roma – Brennero, l’ITALICUS, esplose nel secondo scompartimento della quinta carrozza mentre il treno usciva per inerzia dalla galleria e si fermava nei pressi della piccola stazione di San Benedetto Val di Sambro.

La stazione di San Benedetto si trovò cosi’ ad essere teatro di una strage in cui dodici persone persero la vita e quarantaquattro restarono ferire, strage che seguiva di pochi mesi quella avvenuta in piazza della Loggia a Brescia.

Nelle cronache dei giornali si lesse che il treno era in ritardo e, allora dell’esplosione, avrebbe già dovuto essere arrivato alla stazione di Bologna, mentre secondo un’altra versione l’ordigno, nelle intenzioni degli attentatori, avrebbe dovuto esplodere proprio all’interno della galleria al fine di provocare il maggior numero di vittime possibili: questa fu la notizia data durante l’edizione straordinaria del telegiornale condotta dal giornalista Tito Stagno.

I primi rilievi tecnici effettuati dal personale della direzione di artiglieria e dai Vigili del Fuoco, basati sul ritrovamento di un fondo di sveglia con applicati due contatti,  portarono ad affermare che a causare la strage fosse stato un ordigno a tempo collocato proprio sulla quinta carrozza.

La deflagrazione fu talmente potente che la quinta carrozza fu scoperchiata e resa incandescente dall’incendio che si sviluppò

La quinta carrozza del treno Italicus

Nei momenti immediatamente successivi alla strage, la stazione si era trasformata in uno scenario tanto drammatico che i vigili del fuoco lì giunti affermarono di non aver mai assistito a tanto orrore: “Il vagone dilaniato dall’esplosione sembrava friggere, gli spruzzi degli schiumogeni vi rimbalzavano sopra.
Su tutta la zona aleggiava l’odore dolciastro e nauseabondo della morte. Le fiamme erano altissime e abbaglianti.
Nella vettura incendiata c’era gente che si muoveva. Vedevamo le loro sagome e le loro espressioni terrorizzate, ma non potevamo far niente poiché le lamiere esterne erano incandescenti. Dentro doveva già esserci una temperatura da forno crematorio.
Qualcuno si è buttato dal finestrino con gli abiti in fiamme. Sembravano torce.
Ritto al centro della vettura un ferroviere, la pelle nera cosparsa da orribili macchie rosse, cercava di spostare qualcosa. Sotto doveva esserci una persona impigliata.       
Vieni via da li, gli abbiamo gridato, ma proprio in quel momento una vampata di fuoco lo ha investito facendolo cadere accartocciato al suolo”.     

 Il ferroviere a cui si fa riferimento nella testimonianza era Silver Sirotti che rimase ucciso proprio mentre, utilizzando l’estintore in dotazione al treno, cercava di salvare le persone coinvolte nell’incendio.           

Silver Sirotti

Silver Sirotti, nato a Forlì, non aveva ancora compiuto 25 anni ed era stato assunto nelle ferrovie da soli dieci mesi. Il 7 agosto i Deputati Flamini e Ascari Raccagni presentarono una interrogazione al Presidente del Consiglio dei Ministri, Mariano Rumor   perché venisse concessa al giovane ferroviere la massima onorificenza al valore civile e, nel 1975, fu in effetti decorato, alla memoria, con la medaglia d’oro al valor civile. Oggi una lapide lo ricorda nella stazione di Bologna.        

 I passeggeri superstiti , allontanatisi dal treno per timore di altre esplosioni cercarono rifugio all’interno della piccola stazione, nella case e nei campi, mentre i ferrovieri, il capostazione, le Forze dell’Ordine si impegnarono per portare assistenza  facendo raccogliere i feriti nella sala d’aspetto, chiamando i medici della zona e allertando le città vicine. 

In effetti i soccorsi arrivarono da Firenze e da Bologna e i feriti vennero portati agli ospedali bolognesi Maggiore e Rizzoli, secondo i primi dati forniti dal Viminale.    
    
I corpi delle vittime estratti dalle lamiere venivano mano mano composti sul marciapiede, coperti da teli bianchi per poi essere trasportati all’Istituto di Medicina Legale di Bologna, dove iniziò la  difficile opera di riconoscimento attraverso la quale si arrivò a dare un nome alle persone uccise dalla bomba.

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Tre erano stranieri: Herbert Kontrinier, 35 anni, di nazionalità tedesca, Fukuda Tsugufumi giapponese di 31 anni e l’olandese Jacobus Wilhelmus Haneman di 19 anni.

Nove le vittime italiane: Nicola Buffi, 51 anni, segretario della Dc di San Gervasio, Firenze, Elena Donatini, 58 anni, rappresentante Cisl dell’Istituto biochimico di Firenze, Elena Celli, 67 anni salita a Roma e Raffaella Granosi, di Grosseto, di 22 anni che si stava recando ad Innsbruk per un corso di perfezionamento.

Antonio Medaglia, 70 anni, di Perugia, venne riconosciuto dalla fede che riportava la data del matrimonio.

L’ordigno pose fine alla vita di tre membri della famiglia Russo di Merano che si stava recando a Ferrara per le cure di cui aveva bisogno il figlio quattordicenne Marco: morirono il padre Nunzio, tornitore delle ferrovie, sua moglie Maria Santina Carraro e Marco
Il fratello Mauro, 13 anni, e la sorella Marisa di 20 rimasero gravemente ustionati.  

La vicenda di questa famiglia suscitò grande commozione ed attenzione da parte dei mass media, delle Istituzioni e dei semplici cittadini preoccupati della sorte dei due fratelli rimasti orfani: Mauro, ustionato più gravemente, fu adottato dalla città di Bologna e per lui vennero attivate numerose azioni di solidarietà.     

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