Come appellarsi a entità inesistenti per giustificare l’ignoranza, l’odio e l’intolleranza
Cos’è la “fallacia dell’appello alla natura”? Andiamo per gradi. Chi di voi ha mai sentito una di queste espressioni?
Il matrimonio tra persone dello stesso sesso è contro natura!
Le adozioni per coppie omosessuali, contro ogni legge del diritto naturale!
Ebbene, questo genere di argomentazioni ha un nome: “fallacia dell’appello alla natura”.
Cos’è una fallacia?
La fallacia è un’incongruenza (volontaria e non) nella costruzione di un discorso, che invalida le argomentazioni e rende del tutto privo di senso logico il progredire di una discussione riguardo un determinato argomento.
Mi spiego meglio: colei o colui che fa volontariamente uso di fallace ( e quindi dotata/o di un’evidente scarsità di strumenti conoscitivi) intende deliberatamente raggirare il suo interlocutore, contrastando una tesi con argomentazioni fasulle, prive di senso critico o di qualsivoglia criterio di ragionevolezza.
La fallacia dell’appello alla natura
Esistono diverse tipologie di fallacia, ma vediamo nel dettaglio a cosa ci riferiamo quando parliamo di quella “dell’appello alla natura” o anche detta “fallacia naturalistica”.
Questo tipo di fallacia, pare essere particolarmente apprezzata nei dibattiti su temi etici (matrimoni tra coppie omosessuali, adozioni, fecondazione assistita)
In questo caso, il nostro “soggetto”, intende avvalorare la tesi secondo la quale alcune scelte o modi di essere, siano inaccettabili in quanto non conformi alle leggi naturali, violando (con tutta evidenza) ogni regola sul corretto argomentare e evitando deliberatamente evidenze e dati empirici.
La fallacia dell’appello alla natura non è certamente una new entry nel dibattito politico, ma, date le recenti diatribe sulla questione del DDL Zan, quale migliore occasione per una “lezione” di “qualità di dibattito politico”?
Un discorso di “qualità” o quantomeno “sensato” dovrebbe basarsi su regole epistemologiche, dati empirici e corrette argomentazioni.
Spoiler alert: non fanno parte di queste l’utilizzo di stereotipi, luoghi comuni, etichette o roba simile.
L’affidare il “giudizio” a entità inesistenti è una vera e propria deresponsabilizzazione, una maschera per l’intolleranza e l’odio ingiustificato e se non altro una sensazionalistica esibizione accalappia consensi.
Il “così è e così dovrebbe essere” è una convinzione senza via d’uscita. L’essere e il dover essere non vanno di pari passo dalla notte dei tempi, ma qui dovremmo addentrarci in dibattiti filosofici con l’alto rischio di banalizzarli.
Non c’è entità esistente e non, in grado di giudicare un modo di sentire, di essere, di amare. Il dibattito dovrebbe concludersi ancor prima di iniziare, ma molti non sono ancora pronti per questa conversazione.