Giampiero Boniperti: l’essenza stessa della Juventus
Giampiero Boniperti se ne va a quasi 93 anni. Nonostante la veneranda età, lascia tanta tristezza nel cuore di quanti lo hanno amato come sportivo e soprattutto come uomo; non solo tifosi bianconeri.
L’intera comunità bianconera, in particolare, vive un lutto oggi, in quanto bianconero lui lo era fin dentro l’anima.
Aveva infatti rifiutato, ai tempi in cui era un calciatore, diverse offerte da squadre del calibro di Inter, Milan il “Grande Toro”; aveva affermato:
“Commendatore, sono della Juve, non posso”. Giampiero Boniperti
Fu un ottimo centravanti: buon fiuto per il goal, tecnica ricercata, gioco astuto e prestanza fisica che gli consentiva un’eccellente mobilità.
Non ancora ventenne, si piazzò al primo posto nella classifica dei marcatori con ben 27 gol, superando l’allora capitano del Grande Torino, Mazzola, di 2 reti; parliamo della stagione sportiva 1947/48.
Successivamente, proseguì la sua carriera come centrocampista, fornendo un grande contributo; ricordiamo infatti la sua presenza in squadra nella vittoria degli scudetti del 1950, 1952, 1958 1960 e ’61. Inoltre nella Coppa Italia del 1959 e ’60.
L’addio al calcio di Giampiero Boniperti
Proprio la stagione 1960/’61 è stata l’ultima da lui disputata; quasi certamente questa scelta (che poi si è rivelata definitiva) fu dovuta all’azione provocatoria dall’Internazionale, che schierò ragazzini in campo in segno di protesta.
La classe, il temperamento di Giampiero Boniperti, il voler stare al di fuori, ma anche al di sopra di sterili polemiche viene fuori anche da decisioni di carattere e di coraggio come questa. Decisione che seppe portare avanti con fermezza, senza mai voltarsi indietro.
Un’immane perdita per il calcio giocato, tanto che dissero di lui:
“La perdita di Boniperti, dal punto di vista tecnico, aveva nuociuto in modo basilare alla squadra, essendo venuto a mancare il cervello, il pilastro del centrocampo, l’uomo che dirige e coordina il lavoro dei compagni, l’uomo indispensabile per una squadra che voglia giocare un calcio moderno a livello nazionale e internazionale”.
John Charles, compagno di squadra dell’epoca.
Da calciatore a Presidente
Dapprima impegnato sempre alla Juventus in qualità di Dirigente per circa dieci anni, successivamente nominato Presidente il 13 luglio del 1971, é stato capace di ridare nuovo lustro alla sua squadra, che negli ultimi tempi non aveva affatto brillato.
Sotto la sua guida, la Juventus seppe imporsi sia in Italia che in Europa, conquistando diversi trofei.
Abilissimo anche nelle trattative. Famosa la sua frase: “tu c’eri a Perugia…” che scoraggiò qualsiasi giocatore della squadra ad avanzare nuove pretese sull’ingaggio, giacché proprio quella frase suonava come un’accusa per aver perso lo scudetto nell’ultima giornata a causa di quella partita. Scudetto poi vinto quell’anno dal Torino.
La sua carica di Presidente, ha avuto la durata di trent’anni, fino cioè all’arrivo di Moggi, Girando e Roberto Bettega; trent’anni di gloria, successi ed orgoglio.
Sapeva stimolare i giocatori proprio nell’orgoglio, quell’orgoglio che li faceva sentire parte di una grande squadra; sua è la celebre frase, ormai diventata un vero inno dei tifosi, la spinta motivazionale per eccellenza: “vincere non è importante, è l’unica cosa che conta”.
Il valore di quest’uomo è racchiuso proprio nella sua totale dedizione a quella maglia; una fedeltà assoluta e un vero e proprio amore. Il suo contributo personale è stato quello di creare non solo un forte spirito di squadra, ma la peculiare mentalità vincente che caratterizza la Juventus.