Nella giornata di oggi – 3 ottobre – si ricordano le vittime dell’immigrazione clandestina
Nel 2016, la legge n.45 del Parlamento Italiano istituisce ufficialmente la Giornata Nazionale delle vittime dell’immigrazione. La necessità è quella commemorare gli uomini e le donne che hanno perso la vita per affrontare il viaggio della speranza verso l’Europa. Quel viaggio che li avrebbe portati nella Terra Promessa, ma che per molti di loro ha significato morte, spesso per annegamento. Questa giornata è stata istituita nel 2016, tre anni dopo la strage del 3 ottobre 2013, una delle pagine più nere – ma non l’unica – della recente storia italiana. Furono infatti 368 i morti accertati, più di 20 i dispersi.
E oggi, in diverse città – da Catania a Verona – si organizzano fleshmob, preghiere e convegni per sensibilizzare sul tema delle morti in mare. Perché in futuro, i nostri figli, ci chiederanno come mai non abbiamo fatto niente. Abbiamo lasciato accadere, sotto i nostri occhi, una strage di innocenti. Perchè non ci siamo arrabbiati, ribellati?
3 ottobre 2013
Trecentosessantotto persone. Trecentosessantotto anime. Trecentosessantotto figli, fratelli, sorelle e madri. È questo il numero di migranti morti in mare, solo in quel giorno. Al largo delle coste di Lampedusa, isola-simbolo del dramma dell’immigrazione clandestina, quel giorno di ottobre del 2013 morirono in mare ben 368 persone. Una delle più grandi tragedie del nostro tempo. Una di quelle tragedie che si fa fatica a ricordare, poiché quello dell’immigrazione è un tema estremamente divisivo, che non lascia spazio a interpretazioni ponderate e razionali. Una di quelle tragedie che, con l’attuale compagine al governo, probabilmente non avrebbe ricevuto l’attenzione e la commemorazione dovuta e necessaria.
Si, dovuta e necessaria. Perchè riguarda tutti. Riguarda chi si oppone instancabilmente all’immigrazione tanto quanto chi è ben disposto ad accoglierli tutti. Ma riguarda anche chi non è interessato a discutere di queste questioni. Poichè queste questioni riguardano tutti. Il futuro di tutti, per la precisione. Le migrazioni sono fenomeni sociali sistemici, nulla che si possa realmente arginare o limitare. La gente emigra, da sempre. E da sempre si sposta per cercare miglior fortuna. Lo hanno fatto i nostri nonni. E lo stanno facendo, proprio in questo momento, anche i nonni di quelli che saranno gli italiani del futuro.
L’Italia, storicamente, è stato un paese di emigranti
Fino al secondo dopoguerra, il Bel Paese non era propriamente un bel paese. Le condizioni di arretratezza, la fame e la guerra hanno spinto gli italiani in ogni angolo del pianeta. Abbiamo esportato il cibo, la cultura e – in parte – la lingua. Ma dagli anni ’80 circa, o più marcatamente dall’inizio del nuovo millennio, siamo anche un paese di immigrazione. Negli ultimi venti anni migliaia e migliaia di persone, provenienti per lo più dai paesi africani e medio-orientali, si sono riversati attraverso il Mediterraneo per cercare fortuna e salvezza nella pacifica Europa. E molti di loro lo fanno sbarcando in Italia, che geograficamente è la porta di accesso privilegiata al vecchio continente.
Ma molti di loro, troppi, in Italia manco riescono a sbarcare. Molti di loro, troppi, trovano una sistemazione solo nelle gelide acque del Mediterraneo. Affogano. Annegano. Muoiono. É questo, sostanzialmente, a causa della mancanza di corridoi umanitari stabili, che permettano a chi ne ha diritto di arrivare sano e salvo in Europa. La questione è invece tacitamente scaricata alle autorità dei paesi del nordafrica – Libia tra tutti. Non di certo un baluardo di umanità e correttezza.
Veri e propri lager
In questo paese, è risaputo, esistono dei veri e propri lager, gestiti dalle autorità libiche. Questi camps, così li chiamano i migranti, sono strutture detentive a tutti gli effetti. Dove vengono rinchiusi uomini e donne provenienti dall’Africa subsahariana e dal Medioriente, che giungono in Libia nella speranza di poter partire, da lì, alla volta del loro sogno europeo.
Peccato che i lager libici siano, per l’appunto, dei lager. Da lì si esce solo una volta che la famiglia del migrante ha pagato un cospicuo riscatto. E a quel punto si può scegliere di tornare indietro, delusi e distrutti da un viaggio che non è neanche iniziato. Oppure si può scegliere di pagare ancora, questa volta per attraversare quel braccio di mare che separa due mondi così diversi. Ed è per questo che è importante ricordare e fermarsi a pensare, soprattutto in occasioni come quella di oggi: la Giornata Nazionale delle Vittime dell’immigrazione.
Ma partire, in centinaia e sullo stesso barcone fatiscente, non è facile. Ed è ancora meno facile arrivare vivi sulle coste italiane, primo accenno di Europa, miraggio per i migranti. Secondo Amnesty International, dal 2014 al 2019 sono morte 15.000 persone, solo nel mediterraneo. E il numero è in continuo aumento. Così come il rapporto tra partenze e morti. Nel 2018, in media moriva una persona ogni 29 partenze. Oggi questo dato è drammaticamente mutato. Oggi, un migrante su sei muore in mare.
Immaginate di avere sei compagni di viaggio. Ecco, uno di questi sta per morire. E potresti essere proprio tu. O tuo fratello. O tuo figlio.