Mr. O ricostruisce la storia di Pietro Pacciani, quello che per tutti è considerato il Mostro di Firenze
I fatti che stiamo per raccontarvi hanno attraversato la storia di Firenze per decenni. Otto duplici omicidi, dal 1968 al 1985, e una assoluzione in appello nel 1996, per colui che, nella memoria collettiva, è sempre rimasto per tutti il Mostro di Firenze, Pietro Pacciani.
Pacciani morì due anni dopo l’assoluzione ma, in seguito, la sentenza fu annullata dalla Cassazione e molti altri personaggi entrarono nell’inchiesta e finirono in carcere, ma non fu fatta mai piena luce su quei terribili delitti.
Il 13 febbraio del 1996 si chiude uno dei processi più discussi del secolo, Pietro Pacciani è assolto in appello dopo che in primo grado era stato condannato all’ergastolo.
Il nome di Pacciani, contadino di Mercatale, piccolo borgo situato nel comune di San Casciano in Val di Pesa vicino Firenze, entra nell’inchiesta nel 1991, mentre sconta in carcere la condanna per stupro nei confronti delle sue due figlie; una lettera anonima risalente al 1985 invitava gli inquirenti a indagare su di lui.

La SAM (Squadra Anti Mostro), il pool di forze dell’ordine che indagava esclusivamente sugli omicidi del mostro dal 1984, capeggiata da Ruggero Perugini, oltre alla lettera anonima, aveva il nome di Pacciani schedato nel computer fra le molte persone aventi le caratteristiche per essere l’assassino seriale.
Pacciani, personaggio complesso, pieno di luci e ombre. Di lui si è detto di tutto; furbo, ingenuo, violento, vittima, calcolatore. Insomma, tutto e il contrario di tutto. Con precedenti per omicidio e violenza carnale sulle figlie.
Forse non è il Mostro, ma così, a molti, appare.
Ma ricostruiamo i fatti per comprendere come si è arrivati a Pacciani
Il silenzio del Mostro, la sua pistola non sparava da anni, dopo dodici vittime il rito di morte si era fermato. Quel silenzio poteva avere un significato.
Parte da questa considerazione l’ultima inchiesta sui delitti del maniaco che diventerà l’indagine su Pietro Pacciani.
Il nome del contadino del Mugello era già apparso tempo prima nelle cronache sui delitti. Il 29 ottobre 1981, pochi giorni dopo il quarto agguato del Mostro, La Nazione pubblica una storia successa trenta anni prima, nel ’51.
Pietro Pacciani, allora, sorprende la fidanzata Miranda Bugli nel bosco con un amate, e uccide il rivale.
Nell’articolo a descrivere Pacciani è Aldo Fezzi, menestrello, poeta popolare e cantastorie, meglio conosciuto come “il Giubba“, per l’inseparabile giacca che indossava anche d’estate, che su quel fatto di sangue aveva scritto ventiquattro quartine.
La “ballata sul Pacciani” non suscitò alcuna curiosità. Solo anni dopo, chi accusava il contadino, cercherà di convincere i giudici che quel delitto fu l’inizio di un ossessione e una prova della brutalità del maniaco.
La croce è ancora li nel bosco di Tassinaia. Un epitaffio avverte: “Mai mano d’uomo fu tanto empia quanto quella che qui uccise Severino Bonini”.
Pacciani lo colpì con diciannove coltellate e gli fracassò il cranio a colpi di pietra e di stivale e, dopo, abusò della ragazza.
Quando Pietro Pacciani esce di galera si fa una famiglia. Trova moglie a San Benedetto in Alpe. Tra queste montagne vive Angiolina Manni, la figlia semi inferma di mente di un povero boscaiolo. Pacciani aveva quarant’anni, arrivava il lambretta con la sua fama di giovanotto rissoso.
La lettera anonima che accusa Pacciani
Nel 1985, un altro scenario di morte, l’ultimo scempio del maniaco, a Scopeti.
Tra le tante segnalazioni, spunta il nome di Pietro Pacciani. Una lettera anonima suggerisce di indagare su quello scaltro contadino di Mercatale.
Tiratore scelto, padre padrone in famiglia, era già stato in galera. Solo undici anni dopo verrà scoperto l’autore di quel messaggio. L’indicazione su Pacciani è precisa e nel disorientamento generale per i crimini di un Mostro che sembra inafferrabile, i carabinieri gli fanno una visita.
Qualche domanda, danno un’occhiata in casa senza troppa convinzione. Pacciani è già anziano e non ricorda l’immagine di un serial killer. In paese è chiacchierato per il suo caratteraccio, sempre pronto ad infiammarsi, lo chiamano il “Vampa”.
Il maniaco è nell’ombra, la pistola calibro 22 non spara da due anni.
E’ il 1987 e Pietro Pacciani finisce in carcere, sono le due figlie a denunciarlo e i giudici lo condannano per violenza carnale.
L’inchiesta cerca il silenzio del Mostro di Firenze con un metodo scientifico
Quando torna a casa nel 1991 è indagato per sette degli otto duplici delitti del maniaco di Firenze. Inizia il suo calvario, è ’ l’ultima fase dell’inchiesta. La vita di Pacciani non ha più segreti, nasce il suo personaggio.
Agli atti dei suoi avvocati aggiunge i suoi memoriali. Ne scriverà una ventina, raccontando sempre la sua storia di contadino vecchio e malato. Contro di lui, padre di famiglia, solo trucchi e macchinazioni.
Ma Pietro Pacciani è anche un abile imbalsamatore, sa muoversi nei boschi, colleziona giornali pornografici, chi lo conosce lo teme. La famiglia non poteva essergli d’ostacolo, in casa gli danno del lei, lo chiamano “padrone” . Moglie e figlie vivono in soggezione.
Pietro Pacciani non è uno sprovveduto e sa toccare anche le corde più sensibili. Scrive in versi e cita il Vangelo, invoca la Giustizia Divina. Comportamenti che lasciano impressioni opposte, interpretati come il segno dell’innocenza o dell’abilità di un commediante.
Pacciani è l’esponente di una cultura che si acquisisce durante lunghi anni di carcerazione. Pacciani è stato in carcere dal ’51 al ’64, la sua “rusticità” dopo aver commesso l’omicidio di Severino Bonini, gli è “comparsa”, perché per vivere in carcere, e nei vari carceri dove ha vissuto Pacciani, bisogna sapersi bene adattare alla vita, bisogna saper simulare, bisogna saper mentire, bisogna saper acquisire, appunto, “l’astuzia carceraria”.
Aprile 1992 a Mercatale Val di Pesa, dove Pacciani vive dal ’73, inizia la più spettacolare e lunga perquisizione mai ordinata in Italia. La Squadra Anti Mostro usa i metal detector, scava nell’orto e trova una cartuccia dello stesso calibro di quelle sparate dalla pistola dal maniaco.
Pietro Pacciani si arrabbia per i danni.
Il 16 gennaio del 1993, mentre a Firenze si inaugura l’Anno Giudiziario, scatta l’arresto. Il Mostro non colpirà più, dicono in procura. Dopo quasi venticinque anni dal primo agguato, Firenze si prepara a processare l’incubo che ha segnato con un’ombra di morte, le sue colline. Ma stenta ha riconoscerlo nell’immagine goffa di un contadino.
Pacciani si presenta al processo alla sua maniera. Le telecamere portano nelle case il male allo stato puro, la ricostruzione degli otto duplici delitti, lo scempio dei corpi.
Il Pubblico Ministero descrive un quadro, un sarcofago con una mummia, una figura mezzo toro mezza donna. Lo attribuisce all’imputato, c’è la sua firma, ha aggiunto particolari inquietanti, è una prova delle sue persecuzioni.
Pacciani, invece, sostiene di averlo trovato e colorato. Non c’è il parere ufficiale di un esperto. Alla fine si scopre che l’autore è un pittore sudamericano e per l’accusa è un imbarazzante scivolone.
Cresce l’interesse attorno al processo, si discute degli indizi. Il blocco da disegno tedesco ritrovato in un cassetto a casa sua che secondo l’ accusa proviene dal camper dei due tedeschi uccisi il 9 settembre 1983. Pacciani lo ha usato, ci ha scritto appunti datati ‘ 81, dice di averlo trovato in una discarica due anni prima l’uccisione dei tedeschi.
Un porta sapone da poche lire, la cartuccia trovata nell’orto. Due anni prima, un anonimo aveva inviato un pezzo di pistola, l’asta guida molla. E’ battaglia sulle perizie. In aula compaiono testimoni ambigui, impauriti, che raccontano vicende di un mondo contadino dove la rispettabilità nasconde storie di perversione.
Pacciani accusa i giornalisti di avergli girato contro la popolazione, ma ha sempre la risposta pronta e si fa intervistare anche in cella. Rifiuta, però, l’interrogatorio in aula ed era un suo diritto. Ma incanta tutti con un monologo difensivo di due ore.
Il 1 novembre 1994, l’aula bunker di Santa Verdiana, ribolle di emozioni. Pietro Pacciani si dispera mentre il Presidente della Corte d’Assise di Firenze legge la sentenza che lo condanna all’ergastolo.
Manca sempre qualcosa………..continua