Inghiottiti da una società altamente performante, il valore di una persona viene misurato in base al numero di attività giornaliere da portare a termine. E se cominciassimo a vedere la noia non come un vuoto da riempire ma come un momento fecondo?
“Chi si ferma è perduto“, urlerebbero in molti. Certo, chi si ferma è perduto ma è anche vero che si perde tutto chi non si ferma mai. Entriamo così, in un circolo vizioso in cui l’iperattivismo sembra essere l’unico strumento valido per affermarci a tal punto da sentirci in obbligo di essere attivi e prestanti anche nel tempo libero.
Siamo abituati ad essere travolti in un flusso continuo di attività tanto da non riuscire più a contemplare e tollerare la stasi, bandendola a mera perdita di tempo a cui si aggiunge, come cornice, un imperante senso di colpa
E se cominciassimo a vedere la noia non come un vuoto da riempire ma come un momento fecondo?
“Tutta l’infelicità degli uomini viene da una cosa sola, non sapersene stare in pace in camera’’.
Pascal
Il lockdown ce lo ha insegnato a sufficienza. Forse, la vera inquietudine nel provare noia è essere costretti a fare i conti con quel rapporto vergognosamente intimo con noi stessi.
Perchè sì, in realtà la noia è dentro di noi. Ed è così difficile da comprendere che finiamo per pensare che quel vuoto provenga dal di fuori e questo ci porta ad attivarci per fare, per fare in modo che, sempre da fuori, arrivino cose che aggiustino e riempiano. Ma il segreto è essere, non fare; svuotare e non riempire.
Nella società delle performance dobbiamo tornare ad annoiarci
In un saggio del 1930 intitolato La conquista della felicità, Bertrand Russell scriveva: “Una generazione che non riesce a tollerare la noia è una generazione di uomini piccoli, nei quali ogni impulso vitale appassisce”. Oggi, una serie di studi psicologici sembra dare ragione al filosofo inglese.
La noia è infatti una condizione necessaria per la salute mentale di un individuo e, paradossalmente, un ingrediente irrinunciabile per il corretto funzionamento dei processi creativi.
La noia rappresenta uno stato creativamente fertile da cui il cervello ri-parte per trovare soluzioni originali.
Il momento di calma piatta che sentiamo è solo apparente, perché in quel momento il nostro cervello sta riorganizzando il materiale inconscio.
La dottoressa Sandi Mann della University of Central Lancashire ha condotto una serie di esperimenti volti a studiare l’effetto della noia sul lavoro creativo. In uno di questi esperimenti, Mann chiedeva a un gruppo di 40 studenti di svolgere un compito ripetitivo e poco stimolante come copiare numeri di telefono da una rubrica. In una seconda fase a questo gruppo e a un gruppo di controllo venivano mostrate due tazze di polistirolo e il loro obiettivo era trovare tutti i possibili utilizzi di questi due oggetti.
Secondo voi cosa è accaduto? Il gruppo che aveva dovuto copiare i numeri delle rubriche si rivelava sempre più inventivo di quello di controllo.
Ricerche come queste lasciano intuire che i momenti di noia costituiscono una specie di stazione in cui il cervello ricarica la propria benzina creativa.
Nel 1993 lo psicologo inglese Adam Phillips descriveva la noia come “quello stato di sospesa anticipazione in cui qualcosa potrebbe succedere ma nulla accade, uno stato d’animo di diffusa irrequietezza che circonda il più assurdo e paradossale dei desideri, il desiderio di un desiderio.”
Secondo alcune teorie, questo stato di anticipazione sospesa sarebbe un requisito fondamentale per la creatività. Nei momenti di noia il nostro cervello ha spazio a sufficienza per perdersi in divagazioni e sogni a occhi aperti che, come Moshe Bar e altri scienziati hanno dimostrato, hanno un ruolo cardine nei processi cognitivi.
La noia in filosofia
La noia ci tiene nella sua stretta immobili e, non a caso, Heidegger la definisce un “paralizzante esser-colpiti dal corso esitante del tempo e dal tempo in generale, un esser colpiti che a suo modo ci opprime“.
Ma in che maniera il tempo esitante e, dunque la noia, ci opprimerebbe? Secondo Heidegger ciò avviene attraverso l’Esser-lasciati-vuoti e l’Esser-tenuti-in-sospeso, che sono i due momenti essenziali di questa esperienza.
Quando non siamo annoiati, infatti, “siamo assorbiti dalla cose, addirittura perduti in esse, spesso persino storditi da esse”, mentre, nella noia, viviamo un momento di sospensione, di abbandono nel vuoto in cui ciò che prima ci rapiva e affascinava perde di interesse. Heidegger stesso utilizza come metafora il maggese, cioè il terreno incolto.
Il verbo tedesco brachliegen significa appunto: lasciare a maggese, inattivo. Ed è proprio così che ci sentiamo quando veniamo attraversati da questa tonalità affettiva: siamo un terreno potenzialmente fertile ma lasciato lì, a riposare, ad aspettare un tempo e una stagione migliore.
Tuttavia, è proprio da questa immobilità e sospensione, da questa sorta di “impossibilità delle possibilità” che si manifesta la Possibilità pura, come la chiama Heidegger, “la possibilitazione originaria”, la quale ha il fine di schiudere tutte le possibilità autentiche dell’Essere.
Solo quando riusciremo a liberarci dall’idea che il tempo sia degno di esser vissuto solo se ricco e pieno, solo quando avremo imparato davvero ad annoiarci, allora, come Heidegger stesso afferma, si manifesterà l’esser-ci nudo, libero, spogliato di tutte le proiezioni umane.
La noia, così risulta essere rivelante. Solo attraverso essa veniamo riconsegnati a noi stessi nel modo più autentico possibile, come se la noia fosse una sorta di finestra sull’Essere, una ferita, da cui è possibile far entrare la luce.
È necessario che si arresti “la furia del fare“, la quale, sempre più spesso, si traduce nel nostro tempo negli imperativi: “Muoviti! Lavora! Impara!“. È necessario capire quanto sia insensato vivere l’esistenza e il tempo come una quantità da spendere senza mai sapere che, oltre a ciò, esiste un’altra possibilità.
La noia come dimensione del possibile
In questo mondo iperproduttivo avere spazio per qualcosa come il diritto alla pigrizia, è normale e necessario.
Abbandonarsi alla noia privi di vergogna, liberi dall’angoscia del non essere abbastanza ci permette di visualizzare nuove prospettive dalle quali guardare le cose che ci stanno attorno e alle quali troppo spesso, offuscati dalla frenesia, non riusciamo a porre dovuta attenzione.
Appare paradossale, ma la noia può essere lo strumento per poter allontanare, o meglio, ridimensionare gli eccessi del nostro ‘io’ schizoide e dunque come un’occasione per ripartire mettendo in discussione il nostro stare al mondo.
Basterebbe imparare a vedere la noia come dimensione del possibile.