Jacopo Sannazaro e la letteratura pastorale

Jacopo Sannazaro è stato uno dei grandissimi protagonisti della cultura napoletana del Quattrocento

Legato alla corte aragonese e al circolo culturale della Accademia Pontaniana, Jacopo Sannazaro partecipò al classicismo letterario di quegli anni. Riuscì anche, con forte personalità, ad anticipare aspetti che caratterizzeranno la letteratura italiana fino al XVIII secolo. Oltre alla piazza a lui dedicata, Napoli gli ha intitolato, sulla collina del Vomero, anche un liceo.

La vita di Jacopo Sannazzaro

Jacopo Sannazaro nacque a Napoli il 28 luglio 1457 da una nobile famiglia. Il padre, Nicola, discendeva da un’antica famiglia lombarda, nominata addirittura da Dante nel Convivio (IV, 29.3). La madre Masella, invece, proveniva da una importante famiglia salernitana.

Peggiorate le condizioni della famiglia alla morte del padre, avvenuta nel 1462 e per la perdita di una parte del patrimonio, Sannazaro fu portato dalla madre, ancora bambino, nel possedimento di San Cipriano di Piacenza, sulle alture appenniniche, dove rimase fin verso i vent’anni, imprimendo nell’animo quel paesaggio e quelle suggestioni che ritorneranno nelle sue opere. Dopo qualche anno, Jacopo si trasferì di nuovo a Napoli. Qui, studiò latino e greco ed iniziò ad inserirsi nei circoli umanistici e cortigiani.

Qualche notizia sui suoi amori: c’era una fanciulla amata “fanciullescamente”, come dice il poeta, già dalla tenera età di 9 anni (come Dante e Beatrice), di nome Carmosina dei Bonifacio: non è possibile però indicarla con certezza. Mentre il grande amore di Sannazaro fu Cassandra Marchese, amata teneramente, anche se già sposata. Tuttavia le nozze di questa donna fallirono, e ne fu richiesto l’annullamento ufficiale alla Santa Sede e Sannazaro fece di tutto per aiutare la sua amata ad ottenerlo. L’annullamento fu concesso nel 1518 per il sommo piacere dei due amati.

Proprio all’amata Cassandra, Jacapo dedica le Rime (Napoli 1530). La raccolta comprende 101 composizioni: le prime 32 furono scritte molto probabilmente dopo il periodo dell’esilio e quindi non risalenti al periodo giovanile. 
Seguono poi 66 composizioni che costituiscono il vero e proprio canzoniere giovanile (quindi la struttura della raccolta non segue un ordine cronologico). Infine ci sono 3 ternari: uno di argomento religioso (Passione di Cristo) e due di argomento storico-politico (Visione in la morte dell’Illustre Don Alfonso d’Avalo Marchese di Pescara In la morte di Pier Leone)

Poeta e uomo di corte: la fedeltà alla corte aragonese

Jacopo Sannazaro dal 1481 fu al servizio di Alfonso d’Aragona, duca di Calabria, che seguì anche in imprese militari. Compose vari scritti d’occasione per spettacoli della corte aragonese. Ebbe un legame ancora più saldo e intimo con Federico III d’Aragona. Durante l’invasione straniera mantenne la più leale fedeltà ai suoi signori: alla caduta definitiva della monarchia aragonese (1501), vendette alcuni suoi feudi e seguì il suo re in esilio in Francia.

Alla morte di Federico d’Aragona, Jacopo tornò a Napoli (1505) dove, nella villa di Mergellina, che tra l’altro gli era stata donata proprio dal re, condusse una vita appartata. In quegli anni, strinse amicizia con l’umanista Giovanni Pontano. Divenne membro della Accademia napoletana (retta dal 1471 proprio da Pontano, in onore del quale sarà chiamata Accademia Pontaniana) e vi partecipò, come era consueto, con lo pseudonimo latineggiante di Azio Sincero.

Jacopo Sannazaro e l’Arcadia: grande influenza sulla letteratura europea

L’opera più importante di Jacapo Sannazaro è l’Arcadia, un’opera mista di prose e versi, che avrà grande successo e risonanza fino al Settecento: in essa si definisce in modo nuovo il carattere mentale e spirituale degli antichi modelli pastorali, creando in questo modo la base per tutta l’ambientazione e i temi della letteratura pastorale europea.

Nella prima edizione dell’Arcadia (1485), Sannazaro mise insieme dieci brani in prosa, legati ad altrettante ecloghe (alcune erano già state composte in gioventù). Nel 1504 ci fu poi una seconda edizione dell’opera, revisionata dal punto di vista linguistico ed ampliata aggiungendo due nuove prose con le rispettive ecloghe e un congedo: Alla Sampogna.

In quest’ultima edizione, Sannazaro compì una scelta ben precisa: corresse il testo dell’opera eliminando tutte le forme del volgare napoletano, poiché l’autore mira a raggiungere il più ampio pubblico delle corti italiane, al di là del ristretto ambito della corte aragonese. Decide di modellare sia la sua prosa che i suoi versi sulla lingua del fiorentino letterario di Petrarca e Boccaccio. L’umanista napoletano anticipò le idee di uniformità della lingua letteraria italiana.

I pastori e la realtà aragonese

Protagonista dell’Arcadia di Sannazaro è Sincero, alter ego dell’autore, che racconta di aver lasciato Napoli per fuggire dalle pene d’amore e di aver raggiunto l’Arcadia. Antica regione della Grecia, idealizzata come locus amoenus.
Qui Sincero se ne sta in compagnia di altre pastorelle e pastori conducendo una vita molto semplice, suonando e cantando.

Il mondo dei pastori è quello stesso della corte aragonese e dei suoi circoli intellettuali, ma trasferito altrove, in un paesaggio fresco ed incontaminato. Sincero racconta un mondo dalla natura incontaminata, dove tra prati soleggiati e animali di ogni tipo, si muovono divinità pagane come Pan e Apollo. Compaiono nell’opera anche satiri, ninfe e poeti-pastori che con canti e danze rallegrano il lavoro nei campi. É un mondo di sogno, ma in continuo rapporto con molti aspetti della realtà. Non mancano riferimenti autobiografici e personaggi contemporanei mascherati da pastori, che fondono la finzione letteraria con la realtà quotidiana. Come sotto-trame ci sono diversi episodi di amore, magia caccia, in cui si colgono allusioni al panorama culturale napoletano contemporaneo.

Durante il racconto la parte in prosa, da cornice letteraria, diventa parte principale dell’opera. Sannazaro si rende conto di aver creato un nuovo genere letterario: il romanzo pastorale.

Il viaggio nel ventre della terra

Il viaggio di Sincero per l’Arcadia, ad un certo punto, prende una svolta: guidato da una ninfa, Sincero penetra nella profondità del mondo. Il pastore raggiunge il fiume Sebeto e riemerge nella sua città: Napoli. Il protagonista, dopo aver ricevuto la notizia della morte della donna tanto amata, con queste parole saluta i lettori:

“Conciossiacosaché chi non sale, non teme di cadere; e chi cade nel piano, il che rare volte addiviene, con picciolo ajuto della propria mano senza danno si rileva. Onde per cosa vera ed indubitata tener ti puoi che chi più di nascoso e più lontano dalla moltitudine vive miglior vive; e colui tra’ mortali si può con più verità chiamar beato, che senza invidia delle altrui grandezze, con modesto animo della sua fortuna si contenta”.

Con queste parole emerge il lato più umano della poesia di Jacopo Sannazaro. Poesia che cerca di imitare i modelli letterari più alti, ma teme di non essere all’altezza di raggiungerli. Una poesia che maschera la realtà attraverso un mondo idilliaco, ma non può fare a meno di diventare autobiografica. La poesia lascia così emergere una malinconia e una paura di fallimento, che svela la voce più intima dello scrittore napoletano.

Le opere napoletane di Jacopo Sannazaro

Se l’Arcadia fu scritta in fiorentino, non mancano nella produzione del nostro umanista opere in volgare napoletano. Lo scenario partenopeo e l’atmosfera di Mergellina, ispirano le Ecloghe piscariae: componimenti poetici in cui i protagonisti non sono i tipici pastori bucolici, ma pescatori napoletani. Scrisse le Farse e i Gliommeri (“gomitoli”), testi dal carattere comico che venivano messi in scena durante feste di corte.

La tomba di Sannazaro a Mergellina

La tomba di Jacopo Sannazaro si trova ancora oggi a Napoli, nella chiesa di Santa Maria del Parto a Mergellina.
Il nome della chiesa deriva da una sua opera: Partus Virginis (Il parto della Vergine). In una stanza situata posteriormente rispetto all’altare maggiore della chiesa, è collocato il monumento funebre del nostro grandissimo poeta napoletano.

Ai lati di una base sorgono due statue, una raffigurante Apollo con una viola poggiante sulle gambe e l’altra Minerva armata che impugna un grosso scudo istoriato. Tra esse è collocata l’urna funebre sulla quale sorge il busto del poeta, circondato da due amorini.

Nel 1892 Benedetto Croce descriverà così il monumento:

“Quella mescolanza di sacro e profano ch’è tanto caratteristico della poesia del Sannazaro, quella pienezza di fede religiosa nel Cristianesimo e di fede estetica del paganesimo, raggiungono un’espressione plastica in questo monumento sepolcrale.”

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