La giornalista cinese Zhan Zhang, è stata condannata a 4 anni di carcere per aver raccontato l’inizio della pandemia di Covid-19, a Wuhan
La sentenza, emanata il 28 Dicembre, dal tribunale di Shangai, ha fatto il giro del mondo. L’accusa nei confronti della giornalista cinese Zhan, è quella di aver diffuso false informazioni nei reportage e di averle divulgate attraverso WeChat, Twitter e Youtube. La donna avrebbe anche concesso interviste a media stranieri, come Radio Free Asia ed Epoch Times, che “hanno speculato malignamente sull’epidemia di Covid-19, a Wuhan”. Secondo il governo cinese, la blogger, attraverso i primi reportage, che documentavano la situazione iniziale a Wuhan in piena pandemia, avrebbe “provocato litigi e problemi”. Tale colpa è, di solito, attribuita a dissidenti ed attivisti politici in Cina.
Il governo cinese, tra manipolazione ed occultamento di notizie
Zhan, ex avvocato di 37 anni, si era recata a Wuhan, agli inizi di febbraio. La donna non era legata ad alcuna testata giornalistica, ma in maniera indipendente, documentava il clima di confusione e spavento. Attraverso i suoi principali canali social, Zhan ha permesso di prendere atto di una situazione difficile, diversamente da quanto descriveva il governo cinese. La donna ha evidenziato una conduzione governativa problematica nel contenere lo scoppio della pandemia, nelle sue fasi iniziali. Il governo, oberato dalla crisi, da infetti e morti, nei mesi più gravi della pandemia, ha spesso tentato di celare la drasticità del momento. Il resoconto iniziale a Wuhan della pandemia, da parte del governo, è avvenuto attraverso manipolazione ed occultamento delle notizie. Lo scopo principale, era quello di non creare allarmismo e ridurre la percezione della gravità.
La novità del virus e della sua pericolosità era evidente; allo stesso modo durissimi erano gli attacchi contro Wuhan, come città focolaio.
I reportage di Zhan e le sue denunce
Nel clima di precario equilibrio, a gennaio i media esaltavano la figura del presidente cinese Xi Jinping e miravano a divulgare scenari di una situazione sotto controllo. Ai reportage cinesi, si affiancano, al contempo, quelli della giornalista Zhan. Tramite video, talvolta brevi e confusionari, la giornalista riprendeva ospedali sull’orlo del collasso, affollamenti di infetti, entrava nei forni crematori cercando di quantificare le vittime.
Più volte la donna aveva manifestato la sua difficoltà nell’interloquire con cittadini del posto, che rifiutavano qualsiasi tipo di intervento dinanzi alle sue domande e video.
I primi, evidenti ostacoli, che le si sono interposti, iniziano con le censure dei suoi video su WeChat. La giornalista ha, difatti, continuato a documentare la pandemia, attraverso Twitter e Youtube. Nei suoi reportage ha denunciato anche la sofferenza di famiglie, colpite da morti, che hanno chiesto maggiori interventi del governo. Oltre a ciò, la giornalista ha reso noto la scomparsa di altri suoi colleghi che, come lei, si sono mossi in maniera autonoma, talvolta contrastando il governo. Si trattava di Li Zehua, Chen Qiushi e Fang Bin. In seguito, il primo è stato rintracciato in casa in quarantena, il secondo recluso sotto sorveglianza, del terzo ancora non si sa nulla.
La detenzione e le condizioni di salute di Zhan
La stessa amara sorte di giornalista indipendente, scomparsa nel nulla, è toccata a Zhan. Il 14 Maggio, della donna si perdono le tracce. Viene ritrovata il giorno dopo, detenuta nel carcere di Shangai, senza alcuna motivazione ufficiale. Le accuse ufficiali saranno poi delineate solo a novembre. Le prime informazioni sullo stato di salute della donna, giungono a settembre. Prima di allora, a nessuno era stato permesso di farle visita. Il suo legale parla di “condizioni di salute preoccupanti”.
A giugno Zhan, per protestare contro il suo arresto aveva iniziato uno sciopero della fame.
Di dicembre è la notizia che, addirittura , la donna era intubata per essere nutrita.
Ad oggi, dopo la sentenza di quattro anni di carcere, l’avvocato della donna rende noto che ricorreranno ad un appello contro la sentenza, ritenuta ingiusta e priva di spiegazioni.
Zhan ed il suo sacrificio in onore della libertà
Libertà di parola negata, proibizione di documentazione reale, sono solo alcuni degli elementi a cui Zhan fa riferimento, nella sua lotta contro la detenzione forzata. In Cina, Paese con un regime di poca tolleranza verso disposizioni non affini a quelle governative, con dispotiche misure ai limiti dell’umanità, molti si trovano a condividere la stessa amara sorte di Zhan. Donna libera, indipendente, amante della verità e giustizia, reclusa per frenare la sua attività di divulgazione di “ false informazioni” che l’avrebbero resa colpevole di reato. Eppure, ad onor del vero, la falsità imputata a Zhan, ritrae fin troppo nei dettagli una realtà diversa da quella dipinta dal governo. Questa è tuttora l’unica, estrema motivazione, per cui la donna è costretta a sacrificare quattro anni della sua vita.