La posteggia, la musicalità nel cuore della città

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Una domenica come le altre, o quasi

Domenica mattina, mi alzo comunque di buon’ora e vado al bar a prendere un caffè con un amico aspettando si faccia ora di pranzo. Sigaretta e quattro chiacchiere con della musica di sottofondo ad un volume perfetto, sentivo lui ed il vociare era quasi nullo (a tal proposito, mi dispiace per Emanuele seduto dietro di noi, ma certe persone meglio perderle che trovarle… Ho detto quasi, non totalmente).

Per pranzo, a casa dei genitori della mia compagna, beh, sapete come funziona a Napoli, inutile starci a dilungare, la fortuna è che dalla suocera si mangia presto ed alle tre avevamo già finito (dopo 36 portate ed il dolce, ma sì, avevamo addirittura sparecchiato) quando il suono di una notifica sul cellulare mi devasta. «Guagliù, ma nu grand gir a Napl, no?». Ecco la paura più profonda che emerge quando mi rendo conto che no, quel pomeriggio non avrei riposato e, cosa peggiore di tutte, avrei dovuto da lì a poche ore rispondere che sì, mi ero divertito, dando ragione al gruppo quando dice che in fondo all’anima ho ottantasette anni.

Un saluto veloce e via, direzione Cumana, si scende a Montesanto e di corsa verso Via dei Tribunali. Se non siete mai stati a Napoli Sotterranea, se non conoscete l’origine del culto ro munaciell, avete l’obbligo di rimediare!

X Factor made in Naples

Napoli è sensorialità. Profumo di cibo, colori con tutte le sfumature del blu e dell’azzurro, miriade di artisti di strada che La riempiono con la loro vitalità, rumori, suoni e musica. Ed è proprio su questo punto che mi è venuto da pensare ad una cosa dopo aver assistito ad una scena particolare. Tra un aperitivo ed una risata da uno dei vicoletti sentiamo, in lontananza, qualcuno cantare.

La scena è questa. Si vedono tante, tantissime persone riprendere coi cellulari, ma il tutto era leggermente strano. Un amico esclama, nel candore di chi al quinto spritz in quindici minuti a stomaco vuoto (non chiedetemi il perché si fosse privato del pranzo, utopia) non capisce niente, «Stann facenn na pusteggia». Ecco che davanti ai miei occhi compare la magia.

Corriamo e cosa vediamo? Un signore che dal suo balcone, al secondo piano di una vecchia palazzina, con un microfono ed una cassa, stonava Gigi D’Alessio, stonava “Annarè“.

Stonava peggio di un’immagine di Maradona con la maglia della Juventus ed era in ritardo sul tempo come e più del treno preso per arrivare in quel luogo magico, in quel momento magico. Altro che Hogwarts Express!

Attaccato alla ringhiera con una cordicella, o panar, il cestino un tempo usato solo per contenere il pane durante i pasti diventando, concettualmente, la salvezza di noi pigri.

Sul panaro un cartello che recitava SI VUÒ BEN O NAPL FA N’OFFERT A PIACER.

Leggete bene, O NAPL, intesa come squadra. Quella sera c’era il posticipo e no, non era una posteggia. Albi, almeno una parigina la prossima volta.

Ma cos’è la posteggia?

I più giovani rispondendo d’impatto potrebbero dire qualcosa del tipo «Quanne fittei a na bella guagliona» (ma la musicalità del verbo fittiare la sentite!?) e non avrebbero tutti i torti. Ad oggi è usato con questo significato più che col suo originale.

Ma qual è l’origine di questa vecchia usanza? Come nasce? La posteggia nasce nel cuore dei quartieri e dei vicoli di Napoli intorno al ‘700 quando, dalla strada, i cantastorie provavano a scaldare il cuore della propria amata, o semplicemente della conquista di turno, con testi romantici, semplici. Un uomo, la sua chitarra od il suo mandolino, la donna affacciata al balcone. Nulla di più.

Nel corso del tempo questa usanza si è evoluta diventando un vero e proprio culto in tutta la Campania, abbracciando e facendosi abbracciare da artisti napoletani e non solo, permettendo al nostro amato dialetto di essere cantato in tutto il mondo. Un esempio? Se vi dicessi che “‘O sole mio” è una posteggia? Stiamo parlando di una canzone del 1898 ed è stata cantata, tra gli altri, da Luciano Pavarotti. Ripeto per chi non avesse capito. Il più grande tenore di tutti i tempi, Luciano Pavarotti, ha cantato “‘O sole mio” in giro per il mondo. Chi altri? Bryan Adams, ad esempio. Aggiungo altro?

Anche se, a dire la verità, per gusto personale “Malafemmena” non si batte. Il ricordo di me ad otto anni mentre chiedo a mio padre, guardando il film seduti su divano, cosa significasse quella parola, che senso avesse, è una delle cose più preziose che ho. Le sue risposte, beh, su quelle sorvolerei. E chi ha composto quest’opera d’arte? Signore e Signori, scritta e musicata dal Principe della risata, Totò.

Guagliù, ma e che stamm parlann?

Non sporchiamola, per favore

Permettetemi un passo indietro o, per meglio dire, un piccolo parere soggettivo. Non confondete la poesia, qualcuno mi perdonerà, con alcuni scempi che si vedono sui social. La posteggia, intesa nel senso originale del termine, era ed è a tutt’oggi un gesto d’amore fatto con raffinatezza, con eleganza, con rispetto e, nonostante possa essere vista e sentita da tutti, un’azione intima e privata. Non mischiamo le due cose, per favore, altrimenti ritorno in Cumana, in ritardo naturalmente, ad ascoltare il suono delle rotaie. Certi rumori fanno meno male alle orecchie di alcuni vocalizzi. 《Biglietti prego!》 Tutum tutum, tutum tutum, tutum tutum…

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