Cambiano le epoche, ma continua una concezione fortemente empirica dell’arte: la scultura, la pittura sono comprese dalla collettività perché reputate espressioni canoniche dell’arte.
Ben più difficile è il ruolo dell’arte concettuale, che raggiunge la sua maggiore espressione nella performance, forma artistica nata negli anni Sessanta. Come ad esempio l’artista contemporanea francese, Orlan. Il suo scopo è generare atti di vita e non uno spettacolo, fondendo arte e realtà in un unico, momento presente ed irripetibile. A differenza della Body Art, dove il dolore assume connotati catartici di purificazione, in Orlan l’intervento chirurgico diviene come uno spettacolo di Cabaret.
Nell’assistere al progressivo scomporre e ricomporre chirurgicamente la carne dell’artista, è inevitabile riflettere sulle possibilità di perdita dell’identità fisica della persona attraverso l’intervento chirurgico. Orlan applica la logica della trasversalità, attraversando e rompendo tutti i confini che attraversano il corpo, una logica tanto cara anche ad un sociologo francese, Jean Baudrillard, partendo da una riflessione prettamente sociologica del cosiddetto Teorema di Thomas, secondo cui, se gli uomini definiscono una situazione come reale, questa verrà comunque valutata reale nelle sue conseguenze. Quando la simulazione prende il posto della realtà, essa potrebbe svanire dietro i suoi simulacri, rappresentando qualcosa che non esiste.
Ecco dunque la formulazione di una nuova idea di essere umano, l’Homo Communicans. L’uomo nuovo, interamente eterodiretto, rivolto all’esterno, nato dalla prospettiva tracciata da Norbert Wiener, padre della cibernetica, la cui nozione è stata ripresa e contestata dal sociologo francese Philippe Breton. Quest’uomo nuovo, contrariamente all’ideale dell’uomo classico che esalta la vita interiore, è un tipo di uomo facilmente paragonabile agli organismi artificiali.
Per quel gigante della mediologia, il canadese Marshall McLuhan ad esempio, ogni parte del corpo ha una sua estensione tecnologica. Ogni tecnologia può essere considerata come estensione specializzata delle funzioni psichiche e mentali dell’uomo. La parola estende il pensiero, la ruota il piede e così via, fino ad arrivare ai media elettronici che sarebbero estensioni del nostro sistema nervoso centrale. Seguendo questo ragionamento si potrebbe dire che gli inserti applicati sulla pelle di Orlan, possano essere visti come una maschera, più o meno, e cos’è la personalità se non una maschera? Un’estensione della propria personalità. Gli effetti della tecnologia alterano costantemente, senza resistenza alcuna, le reazioni sensoriali ed ogni forma di percezione. Il vero artista, è in grado di fronteggiare la tecnologia poiché da un punto di vista prettamente esperienziale, l’artista è consapevole dei mutamenti che si effettuano nella percezione dei sensi.
Per Orlan, l’immagine corporea è una maschera, dietro la quale c’è il vuoto. Dietro l’apparente giovialità dell’intervento chirurgico si nasconde la distruzione, ovviamente, dell’identità. Per Orlan il corpo oramai è qualcosa di obsoleto, ma dietro questo meccanismo decostruttivo interviene, sempre, la ricostruzione, di un’identità, o meglio un’alterità. L’incontro inquietante con l’alterità, con l’altro, ha presupposto storicamente, e non solo in Occidente, la costruzione dell’Io, considerato come un individuo che possiede una specifica sessualità, etnia, nazionalità e tradizione. Il rapporto tra l’Io e l’altro è andato via via indebolendosi con l’ingresso della modernità e il conseguenziale rifiuto dell’altro a rispecchiarsi. Orlan mette in continua discussione questo rapporto. Ricreando un nuovo Io.
Estratto da F. De Stasio, ” Self-hybridation, cercando nuovi paradigmi identitari, in A. Fattori (a cura di), “Traiettorie dell’immaginario”, Krill, Lecce, 2020