Le tre giornate del 1799

L’esercito dei lazzari, il «serra serra!» e la verità sui fatti della Repubblica Partenopea che la storiografia ufficiale ha nascosto

Per decenni l’hanno descritta come un’occasione mancata, come il miraggio di una (fantomatica) libertà acquisita e persa in pochi mesi a causa dell’ignoranza e scelleratezza dei cosiddetti lazzari, fedeli ad un Re tiranno e oscurantista. Contributo fondamentale, nell’ottica di accrescere la rivoluzionaria mitopoietica partenopea del 1799, è stato dato finanche dalla letteratura, dal romanzo storico, col celebre «Il resto di niente» di Enzo Striano, giusto per citare un esempio. Il mondo della cultura “ufficiale”, ancora una volta, coalizzato per celare una realtà antitetica rispetto a quella raccontata dai più. L’esempio della repubblica partenopea ne è paradigma.

Il grido «serra serra!» e la strage di napoletani

Agli inizi del gennaio 1799, l’armata francese, agli ordini del generale Championnet, trova libera la strada per piombare su Napoli e mettere in fuga Re Ferdinando IV di Borbone. La notizia si diffonde in pochissimo tempo. Il popolo, fedele alla Corona, comincia ad organizzarsi per opporre resistenza. I lazzari al grido «serra serra!» chiamano a raccolta tutti quelli che hanno a cuore la difesa di Napoli e cominciano una strenua resistenza contro l’invasore nemico e i giacobini napoletani, che spalancano le porte all’esercito francese.

Nella notte tra il 14 e 15 gennaio avviene la spontanea mobilitazione del popolo napoletano: ai lazzari, si aggiungono i cavatori di tufo della Sanità, gli ortolani e i fruttaioli del Mercato, i marinai e i pescatori di Santa Lucia, il più borbonico dei quartieri cittadini. Nella giornata del 15 la folla in tumulto, pur senza la guida di veri capi militari, occupa tutti i punti strategici di Napoli.

«Evviva il Santo Iannuario nostro generalissimo»

Il popolo, quindi, s’impadronisce così delle porte e delle fortificazioni, inalberando il vessillo reale a castel Nuovo, castel Sant’Elmo, forte del Carmine, castello dell’Ovo. Disarma i 12.000 uomini della milizia civica, rifornendosi quindi di fucili, munizioni e perfino di cannoni. Infine dà l’assalto alle carceri, liberando 6.000 prigionieri, in gran parte ladri. Nella logica dei lazzari quest’ultimi meritano la libertà perché hanno rubato ai borghesi, che sono tutti traditori, prima verso il Re ed ora verso la città. Si crea un vero e proprio esercito di quarantamila uomini che giurano dinanzi alle sante reliquie di San Gennaro di morire in difesa della Patria. Simbolo della lotta sarà una bandiera nera con la scritta «evviva il Santo Iannuario nostro generalissimo».

L’esercito francese, dopo aver crudelmente raso al suolo Pomigliano D’Arco, dispone la sua armata su quattro colonne: è l’inizio della mattanza. Dopo tre giorni di guerra feroce – in cui i lazzari riescono a tener testa a formidabili strateghi come il giovane Kellerman – il popolo napoletano deve temporaneamente arrendersi al nemico. Come ricorda il prof. Gennaro De Crescenzo, i generali francesci scrivono:

I terreni, avvicinandosi a Napoli, sono un immenso campo di sterminio, tutto è stato bruciato dai nostri soldati, i cadaveri riempiono le strade… I lazzaroni hanno combattuto palmo a palmo per difendere le loro case e sono degli eroi.

La Repubblica Partenopea ha inizio, ma è destinata a frantumarsi pochi mesi dopo, grazie al Cardinale Ruffo e alla sua armata, inneggiando la celebre Canto dei Sanfedisti, quale inno di ribellione e (vera) libertà.

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