Le anime sole di Beckett: lo sguardo moderno che si rispecchia nell’assurdo

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Le anime sole e lo sguardo moderno che si rispecchia nell’assurdo dell’opera di Beckett

L’esistenzialismo nell’assurdo

Le anime sole di Beckett: lo sguardo moderno nell’assurdo.
La produzione drammatica della letteratura inglese conosce, a partire dalla seconda metà del Novecento, l’esperienza del teatro dell’assurdo. Irrompendo nello scenario sconvolto degli anni immediatamente successivi al secondo conflitto mondiale, essa raggiunge la sua più completa e brillante manifestazione nell’opera dell’irlandese Samuel Beckett.
Essa è legata alla denominazione “Teatro dell’Assurdo”: termine coniato per la prima volta intorno agli anni Cinquanta, per indicare un gruppo di drammaturghi che miravano ad una resa in chiave scenica della filosofia esistenzialista.
La sua opera si segnala, fin dalle sue prime creazioni, nella determinazione di una trasposizione teatrale, che mira a riprodurre la vicenda esistenziale, nei suoi aspetti più assurdi e impensabili.

Le anime sole alla ricerca di un senso

L’estro beckettiano si costruisce sulle orme di due grandi pensatori dell’Esistenzialismo francese: Jean-Paul Sartre e Albert Camus.
Rivelando il segreto di un’esistenza misera, votata all’insegna dell’assurdità e della mancanza di un senso logico che permetta di scoprirne l’autentico significato. Tra i personaggi, privilegiati dal copione dello scrittore irlandese, figurano individui isolati, intrappolati in luoghi chiusi e opprimenti; trascinano la loro vita nel tentativo di conferirle un senso ed uno scopo, mentre rimangono immobili e incapaci di agire, convinti della futura realizzazione di una soluzione salvifica.

La sospensione dell’attesa e il fallimento della comunicazione delle anime sole

L’attesa di qualcosa o qualcuno che possa irrompere nelle loro vite per sottrarle ad un sempre più irrimediabile degrado risulta lontana da un approdo sicuro: palesandosi nella sua angosciosa futilità, annulla ogni volontà di riscatto. Credere di poter inserire la propria condizione esistenziale entro i limiti di un piano logico e finalistico, o anche provvidenziale (se si vuole guardare al teatro di Beckett da un punto di vista religioso), è quanto mai vano e dannoso. Poiché porrebbe l’individuo dinanzi alla certezza della sua fragilità, rispetto alla superiorità di una natura indifferente. Certezza sigillata, fra l’altro, dalle parole dello stesso Camus:

The absurd is born of this confrontation between the human need and the unreasonable silence of the world.

Per questa ragione, le vuote esistenze dei personaggi incontrano nella penna di Beckett il linguaggio; con esso si riempiono, instaurando una comunicazione destinata a fallire, perché fondata sulla ripetizione delle stesse parole e su pause ed interruzioni improvvise; in questo modo la parola si spoglia della sua funzione comunicativa.
Rendendosi strumento inutilizzato di un mancato contatto umano.

Lo sguardo moderno nell’assurdo

Il silenzio cala sulla scena, come a voler ribadire l’impossibilità e l’incapacità umane di unirsi nel contatto e nella comunicazione attraverso la parola. E trasferisce l’opera di Beckett sul piano della realtà moderna, dove si scopre essere la miglior interprete della società attuale.
Quel silenzio e quella mancanza di comunicazione sembrano permeare il tessuto della nostra società, impedendo di stabilire un contatto interindividuale che permetta uno scambio costruttivo di idee e il conseguimento di intenti comuni. Ma la forza innovativa dell’opera di Beckett risiede nella sua capacità di porsi come specchio in cui l’occhio moderno si riscopre nella sua fragilità e si appresta a guardare il mondo. Desiderando di unirsi ad esso al di là di ogni silenzio.   

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