Mafia, liberato Giovanni Brusca. Considerato uno dei fedelissimi di Riina, lascia il carcere dopo 25 anni di detenzione
Le notizie che riguardano fatti di mafia viaggiano spedite nel Paese eternamente impegnato nella lotta alla criminalità organizzata, che qui è certamente di casa. veloce ha viaggiato la notizia dei giorni scorsi che vede oggi liberato per fine pena, l’ex boss Giovanni Brusca.
Giovanni Brusca, anche conosciuto come u’verru, u’scannacristiani, viene ricordato per la corposa lista di crimini che ha ammesso di aver compiuto. É ritenuto autore e stratega di alcuni tra i delitti più efferati della storia repubblicana.
Fu lui che materialmente spinse il pulsante del ricevitore a distanza, che fece esplodere l’ordigno che costò la vita al giudice Giovanni Falcone, alla moglie Francesca Morvillo e i tre agenti di scorta (Antonio Montinaro, Rocco Dicillo e Vito Schifani).
Fu lo stesso sicario, oggi 64enne, originario di San Giuseppe Jato, nel Palermitano che, a quanto si apprese, strangolò il piccolo Giuseppe Di Matteo per poi scioglierne il corpicino nell’acido, colpevole soltanto di essere il figlio di un pentito. Ma il Bruschi, come esponente di spicco del clan dei Corleonesi, ha sul groppone condanne per un centinaio di omicidi.
Mafia: è un affronto alle vittime?
Quanto basta insomma, per giustificare le reazioni di sdegno bipartisan: “una vergogna senza pari”, per la vicepresidente del Senato Paola Taverna; “un pugno nello stomaco”, lo definisce Enrico Letta del PD; “non è giustizia” invece per il leader leghista Matteo Salvini; più specifica la Meloni quando sottolinea che questo sia “un affronto alle vittime”. Solita storia: come ha già scritto qualcuno, “populismo, sfuso e a pacchetti“.
E se l’indignazione è legittima e finanche auspicabile – poiché in fondo ci fa sentire dalla “parte giusta” dello schieramento – non lo è altrettanto il risentimento verso una situazione certamente paradossale e umanamente deprecabile, che si è però concretizzata in punta di diritto.
Giovanni Brusca è fuori dal carcere romano di Rebibbia dopo 25 anni di detenzione ininterrotta, godendo dell’ultimo sconto di pena di 45 giorni per buona condotta. Brusca venne arrestato nel 1996 nei pressi di Agrigento. Dal 2000 in poi, dopo una finta parentesi di collaborazione, inizia il percorso come “pentito“. Un termine che, allora come adesso, evoca l’ombra delle vendette trasversali.
Amara ironia: le stesse che hanno visto protagonista anni prima – ma dalla parte del grilletto – lo stesso Brusca.
L’uomo si dice preoccupato per questa che “(…) non è una scelta facile. Pesa la storia della mia famiglia, il dover accusare altri, il giudizio che mio padre darà di me“. Certo non senza polemiche, Brusca si convince che la cosa giusta da fare è collaborare con la giustizia. Grazie a lui, gli inquirenti riescono a fare luce su alcuni punti oscuri della stagione sanguinaria dei primi anni ’90.
Mafia e reati ostativi
A pesare, senza dubbio, è stata anche la prospettiva di passare il resto della propria vita in carcere. La normativa su accesso ai benefici per i reati ostativi e 41bis – che ha portato all’inasprimento delle procedure e delle restrizioni nei confronti dei detenuti per fatti di mafia – prevede appunto il vincolo ostativo per queste tipologie di detenuti. Detto in altre parole: o collabori, oppure non ricevi alcun beneficio e non puoi godere di alcuno sconto di pena o liberazione anticipata. Da tempo si discute – su più fronti – della legittimità di questo dispositivo e della sua efficacia.
Da una parte c’è chi si chiede se sia costituzionalmente coerente legare il miraggio di una futura libertà e di una prevista rieducazione al vincolo della collaborazione. Altri, al contrario, si domandano se questi pentimenti non siano solo strumentali ad ottenere i benefici promessi in cambio di un nome o di un fatto, di un aiuto nelle indagini. Comunque la si voglia intendere, questa storia mostra che in fondo uno Stato di Diritto è ancora possibile da immaginare.
Giovanni Brusca, liberato in punta di Diritto?
A prescindere dalla discussione sull’opportunità (o sulla “giustizia”, diranno alcuni) di rilasciare l’autore reo confesso di decine (se non centinaia) di atroci delitti, quel che è certo è che si tratta – in termini di amministrazione della Giustizia – di una operazione di routine. Il soggetto ha collaborato, ha avuto accesso ai benefici, ha scontato la pena ed ora è libero. E se lo Stato ha fatto davvero la sua parte, Giovanni Brusca sarà persino rieducato. Insomma, migliore.
E i diversi politici delle più svariate correnti – tutti a citare strumentalmente la Costituzione quando fa comodo – avrebbero potuto limitarsi a fare proprie le parole di Maria Falcone, sorella del giudice Giovanni, che commenta così la vicenda:
“umanamente è una notizia che mi addolora, ma questa è la legge, una legge che peraltro ha voluto mio fratello e quindi va rispettata. Mi auguro solo che magistratura e le forze dell’ordine vigilino con estrema attenzione in modo da scongiurare il pericolo che torni a delinquere, visto che stiamo parlando di un soggetto che ha avuto un percorso di collaborazione con la giustizia assai tortuoso“. Per poi concludere con: “ogni altro commento mi pare del tutto inopportuno“.
Giovanni Brusca resterà sottoposto a quattro anni di libertà vigilata e continuerà a vivere sotto protezione.
Relazione del Ministero della Giustizia sulle modifiche in materia di 41bis e trattamento penitenziario: https://www.giustizia.it/giustizia/it/mg_1_2_1.wp?contentId=SAN30794