Malati di Selfie: rischi e significati della selfie-mania

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Dall’autoscatto degli anni 90 alla mania del selfie del XXI secolo

Per i Malati di Selfie, non c’è panorama, tramonto, riverbero sul mare, cibo o acconciatura che non faccia venire voglia di scattarne uno per condividere immediatamente quell’istante con il resto del mondo.

Alla ricerca del selfie perfetto

Ma lo scopo è realmente la condivisione? Scattarsi una foto e inviarla può essere un gesto simpatico, un gioco tra amici, un modo per far “entrare” in quel momento anche qualcuno che non è lì (stile “ti faccio uno squillo” negli anni 90 con i primi cellulari ancora sprovvisti di fotocamera).

Ma a chi si manda realmente la propria foto se il selfie viene condiviso su piattaforme social con milioni di visitatori al minuto? E se da un selfie sporadico si passa alla selfie-dipendenza giornaliera?

Il selfie è una foto che si fa a se stessi, “self”, ma a differenza dell’autoscatto delle vecchie macchine fotografiche, è ripetibile senza limiti di pellicola o memoria. Infatti lo smartphone permette di fare una quantità di foto pressoché infinita, finché non si è individuato lo scatto perfetto, quello glamour, quello che ci ritrae nel profilo migliore. Fatto ciò si passa alle modifiche da rituale: lifting e contouring con una delle numerose App per i ritocchi.

Condivisione o Autocelebrazione

In tutta questa celebrazione dell’IO c’è poco di condivisione, piuttosto di adulazione.

Gli Italiani scattano circa 1 milione di selfie al giorno, è notizia ANSA circa i risultati emersi dalla ricerca condotta da Human Highway e commissionata da Samsung Electronics.

Farsi una foto e condividerla sui social oggi, è per molti un vero e proprio obiettivo della giornata. Se ogni momento divertente diventa l’occasione per il selfie perfetto, allora forse questo è un indice che sta diventando una compulsione.

Se anche durante un litigio si decide un armistizio per un selfie; per la serie “Cara smettiamo di litigare, facciamoci una foto da mandare agli amici, riprendiamo dopo“, allora si sta perdendo il senso dell’essere autentici.

Il rischio è che le persone invece di vivere pienamente la vita e le reali emozioni che provano, investano tutte le energie in una campagna pubblicitaria per celebrare una presunta gioia.

Lo scatto ideale ci fa sentire più belli

Il selfie può essere considerato come uno specchio che ci immortala per come vorremmo vederci. Se oggi la storia di Biancaneve fosse riscritta, la regina parlerebbe alla sua foto “Selfie selfie delle mie brame, dimmi, chi è la più bella del reame?”

L’autocelebrazione dello scatto ideale moltiplica la sua potenza nel momento in cui riceve approvazione dai followers. Più aumentano i “mi piace”, più crescono autostima e buonumore.

Sembra che in questa era, il bisogno di approvazione sociale sia ancora più forte che nel passato. Se per un verso le insicurezze portano a nascondersi, per l’altro incentivano una ricerca infinita di consensi.
La mania è a metà strada, in questo caso, tra il compiacere se stessi ed il proprio pubblico.

Meglio un selfie che la privacy per i malati di Selfie

Cosa non si farebbe per un selfie che possa diventare virale? Ed ecco che pur di essere acclamati si passa dalla foto dei propri capelli (helfie); a quella in cima a un grattacielo o in bilico su un ponte (rooftopping), anche a rischio della propria vita. L’importante è l’approvazione dei follower “dell’impresa eroica”, se così la si può chiamare.

La ricerca del proprio valore si sta spostando sempre di più dal dentro al fuori. I social, causa ed effetto di questa deriva, incentivano la ricerca dell’apprezzamento sociale, il focalizzarsi sul fuori di sé, piuttosto che migliorare il dentro di se stessi. Sembra quasi che per sentirsi migliori sia necessario avere una bacheca piena di acclamazioni e condivisioni, altrimenti il complesso del brutto anatroccolo è dietro l’angolo.

Anche la propria vita privata diventa oggetto di condivisione pur di avere la dose giornaliera di appagamento narcisistico, malati di Selfie. Così è un continuo fotografarsi: versione famiglia Mulino Bianco, o coppia eternamente felice (il relfie), o ancora immortalarsi in uno scatto post sesso (selfie aftersex).

Molti immaginano guardando queste foto che i protagonisti siano persone sicure e felici e se non fosse che ogni scatto celi tanta paura di essere invisibili? Ricordiamoci che per sentirsi più sicuri lo sguardo di amore, rispetto e approvazione deve provenire proprio da noi stessi.

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