L’imprecazione tipicamente partenopea ‘Mannaggia a culonna’ deriva da una particolare umiliazione inferta ai debitori insolventi
Una particolare usanza, portata avanti per molto tempo di fronte al Tribunale della Vicaria (oggi Castel Capuano), ha originato almeno i seguenti quattro modi di dire:
- ‘Mannaggia a culonna’;
- ‘Stonghe che pacche int’all’acqua!’;
- ‘Fa’ Zitabona’;
- ‘Me ne vaco cu na mana annanz e n’ata arete’.
Tutti accomunati da una colonna.
La Vicaria, luogo di giustizia
Castel Capuano è la più antica fortezza di Napoli dopo Castel dell’Ovo, e porta questo nome perché è stata realizzata nei pressi di Porta Capuana, dalla quale partiva la strada per raggiungere Capua.
Il castello subì la sua maggiore trasformazione nel 1537 grazie al vicerè spagnolo dell’epoca, don Pedro Álvarez de Toledo y Zúñiga.
Quest’ultimo, dopo aver confiscato il palazzo al Principe di Sulmona, Filippo di Lannoy, decise di concentrare tutte le corte di giustizia, sparse per Napoli, in un unico luogo.
La Gran Corte Civile e Criminale della Vicaria, la Regia Camera della Sommaria, il Sacro Regio Consiglio e il Tribunale della Zecca furono ospitate così a Castel Capuano, completamente ristrutturato dai lavori portati avanti dagli architetti Giovanni Benincasa e Ferdinando Manlio. Dopo questa sorta di accorpamento, il palazzo fu anche conosciuto da allora come Vicaria.
Proprio a causa di questa concentrazione giudiziaria di fronte alla Vicaria furono eseguite diverse condanne a morte e puniti i cattivi pagatori.

La colonna infame
Davanti al palazzo che ospitava la Gran Corte Civile e Criminale della Vicaria i debitori erano severamente puniti con una pubblica umiliazione, davanti ad una folla sbeffeggiante ed inferocita.
Il debitore dichiarava pubblicamente di cedere tutti i beni necessari a saldare i propri debiti con i creditori salendo sul fusto di una colonnina, attualmente esposta nel Museo nazionale della Certosa di San Martino.
Dopo essersi calati i pantaloni e aver appoggiato il sedere sulla colonna doveva pronunciare la formula latina: “Cedo bonis”, traducibile in italiano con “Cedo i miei beni” o “Svendo le mie proprietà”.
Cedo bonis finì presto per essere deformato dai napoletani in zitabona.
‘Fare zitabona’ indica in napoletano il mostrarsi o rimanere nudo e può anche indicare una persona che ha fallito in qualcosa.
‘Mannaggia a culonna’
‘Stonghe che pacche int’all’acqua!’, ‘Mannaggia a culonna’ e ‘Me ne vaco cu na mana annanz e n’ata arete’ sono tutte riconducibili alla paura che i napoletani avevano di finire umiliati alla colonna dell’infamia.
Fu solo con il Regno di Carlo di Borbone (1734 – 1759) che la colonna infame fu abbattuta, in quanto simbolo di una legge eccessiva. Purtroppo, la base della colonna fu utilizzata come cippo funerario per esibire i corpi dei condannati a morte.
‘Mannaggia a culonna’ è tra tutti questi modi di dire il più utilizzato, forse perché come imprecazione ha un suono molto teatrale.