Giugno è il Pride Month, la lotta per i diritti LGBTQ+ ha avuto dei pionieri importarti da omaggiare in questo mese. Probabilmente senza persone come Marsha P. Johnson nessuno potrebbe andare ad un Pride.
Ha scelto di fregarsene e di sentirsi se stessa a tutti i costi, anche se gli altri non capivano, anche se era illegale, Marsha ha scelto di battersi per ciò che le spettava di diritto.
Su di lei
Marsha nasce il 24 agosto 1945 in una cittadina del New Jersey, come Malcolm Michaels Jr. La sua era una famiglia di classe operaia e molto numerosa. Il forte rapporto con la chiesa nato nella fanciullezza, l’ha accompagnata per tutta la sua vita. La Johnson mostrò subito la sua inclinazione, si vestiva con abiti femminili e ne andava fiera. Dato il mancato appoggio da parte della famiglia e le violenze dei bulli si dichiarò però asessuale. All’età di 17 anni, appena dopo aver conseguito il diploma, con la bellezza di 15 dollari in tasca e un’enorme valigia piena di vestiti partì alla scoperta della Grande mela.
Marsha P. a NY
A New York, cambia nome da Malcolm Michaels Jr. in Marsha P. Johnson. La P sta per Pay it no mind, “fregatene, non farci caso”, lo slogan della sua vita.
In città fa molte amicizie e capisce di non essere sola, e che molti come lei sono dovuti scappare di casa per poter vivere la propria vita. Inizia ad indentificarsi come drag queen, ama far festa, ballare ed esibirsi, ma sa benissimo che i suoi vestiti non erano né costosi e né luccicanti. Alta e molto magra, amava le parrucche e i tacchi vertiginosi, quello che tutti ricordano di lei sono le sue coloratissime acconciature con fiori e frutta fresca.
Dal 1972 Marsha entrò a far parte delle Hot Peaches una compagnia teatrale di drag. Le Hot Peaches fondate proprio in quell’anno sono famose per i loro spettacoli a sfondo politico. Più che performers si definivano intrattenitrici. Il palco era per quelle persone la scusa per potersi vestire come meglio desideravano, e per poter dire la propria anche in modo ironico.
“We’re not actors, we’re entertainers. Rather than becoming the script, the script becomes us”.
Jimmy Camicia il fondatore delle Hot Peaches
Johnson era un’attivista impegnata nella lotta per i diritti della comunità LGBTQ+ (che all’epoca ancora non esisteva) e nella prevenzione dell’AIDS.
Il 1970 fu l’anno in cui, Marsha con la sua amica Sylvia Rivera fondò l’organizzazione Street Transvestite Action Revolutionaries (STAR). Nel ’72 riuscirono a racimolare i soldi per mettere in piedi la STAR House, ciò che guadagnavano prostituendosi lo usavano per pagare l’affitto e fornire cibo e rifugio a tutti quei ragazzi gay o genderequeer che avevano bisogno di una famiglia (scenario simile a quello della serie Pose). Nel 1975, Marsha era conosciuta in tutta la city e perfino Andy Warhol le chiese di posare per lui in una serie di ritratti.
Stonewall
I moti di Stonewall sono scelti come data simbolica dell’inizio della lotta del movimento LGBTQ+, avvenuti nelle prime ore del mattino del 28 giugno 1969.
Lo Stonewall Inn era un locale nel Greenwich Village, a cui inizialmente erano ammessi solo i giovani gay, Marsha è stata una delle prime drag a frequentarlo. I resoconti di quella notte sono molto confusionari, probabilmente proprio lei aprì le danze scagliando un bicchiere contro i poliziotti, che diedero fuoco all’edificio. I veterani dello Stonewall, però non le hanno mai accreditato l’inizio dei moti, per evitare che la rivolta potesse essere ridotta all’instabilità mentale di Johnson e alla sua identità di genere non conforme. Nei periodi successivi Marsha entrava e usciva di prigione quasi ogni settimana, e il suo comportamento con le forze dell’ordine diventava sempre più irrazionale. Insieme a Sylvia era diventata il simbolo della lotta per i diritti, ed erano in capo al primo Pride organizzato nel primo anniversario della notte dei moti di Stonewall. Poco dopo i rapporti con la comunità gay divennero complicati, volevano bandire le drag dalle parate, perché trascinavano “una pessima reputazione”. Ma Sylvia e Marsha continuavano ad essere in prima fila e a sfilare nei loro abiti appariscenti.
“Darling, I want my gay rights now!“
Marsha P. Johnson
La morte e il disinteresse della polizia
Il 6 luglio 1992 il corpo della Johnson viene ritrovato senza vita nel fiume Hudson. La polizia senza indugi cataloga la morte come suicidio, non interessandosi di tutti gli amici e familiari che affermavano che Marsha non aveva assolutamente tendenze suicide. Inoltre, il cadavere riportava un’enorme ferita dietro il capo. Ci furono svariate testimonianze ignorate dalla polizia che desiderava chiudere al più presto il caso su un omosessuale. Il suo corpo venne cremato e i funerali vennero svolti nella chiesa locale per amici e familiari. Marsha era ormai un simbolo ed era celebre in tutta New York; le forze dell’ordine permisero di bloccare il traffico nella Seventh Avenue mentre le ceneri venivano portate al fiume.
Vent’anni dopo, nel novembre del 2012 grazie all’attivista Mariah Lopez il caso è stato archiviato come possibile omicidio.
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