Un romanzo di riscatto
“Penelope alla guerra” è stato il primo romanzo della famosa scrittrice e giornalista Oriana Fallaci e fu pubblicato nel 1962 dall’Editore Rizzoli.
Vi propongo una riflessione su questo meraviglioso libro poiché, a quei tempi, rappresentò in modo provocatorio e “nuovo” la figura della donna, ed è estremamente attuale. D’altronde, è risaputo, Oriana Fallaci è diventata famosa non solo per il suo grande talento, ma anche per l’estremo coraggio di anticipare i tempi e mettere nero su bianco le sue idee antitradizionaliste.
Già dal titolo del romanzo, si evidenzia un totale rovesciamento della Penelope “mitica”. Nel poema epico che l’ha resa famosa, l’Odissea, Penelope non ha niente a che fare con la guerra vera e propria. La donna resta infatti completamente distaccata e isolata dal contesto bellico, che vede invece in campo Ulisse. Oltre alle virtù che più l’hanno resa cristallizzata ed inimitabile (la fedeltà, la grande moralità, la capacità di attesa), Penelope dimostra anche una grande intelligenza e furbizia ( un esempio è lo stratagemma della tela), virtù che la rendono simile allo sposo.
Il limite é che esercita queste qualità sempre e solo nel suo “cantuccio” regale, in relazione all’attesa del suo amato e a favore del suo ruolo inflessibile di fedelissima sposa.
Penelope rinuncia a tessere la tela
Giò, la protagonista di “Penelope alla guerra”, rinuncia invece ad essere la tradizionale Penelope e si rifiuta di tessere la tela in attesa di qualcosa, o meglio di qualcuno.
E’ un Ulisse lei stessa, a tratti virile sia per caratterizzazione fisica, che psicologica. La Fallaci le attribuisce infatti un nome dal diminutivo maschile e sottolinea che “le sue ciglia sembrano rami su cui non piove mai”. Giò parte per L’America, in “guerra” come Ulisse, alla conquista della sua identità e del suo successo. Un viaggio che inoltre la porterà a riabbracciare un uomo che non vedeva da quasi venti anni….la sua “Penelope”!
Un inaspettato capovolgimento di ruoli! Quasi uno scambio di corpi ed identità, che il pubblico di quei tempi non era abituato a vedere in opere, film e romanzi tradizionali. Attraverso questo rovesciamento, la Fallaci vuole far riflettere sul fatto che, nella realtà, non tutti gli uomini dimostrano di avere le qualità di Ulisse (virilità, coraggio, senso del rischio, capacità di affrontare la vita).
Allo stesso modo, non tutte le donne si accontentano o sono predisposte, per indole, ad esercitare qualità muliebri e a mostrare un’anima tradizionalmente “pelenopiana”. Lo potremmo considerare a tutti gli effetti “Il romanzo del riscatto di Penelope”, per la complessità a tutto tondo che caratterizza il personaggio femminile, nonché assoluto protagonista della storia.
Un’America a metà strada tra Troia e Itaca
Giò é una sceneggiatrice italiana di successo, a cui viene affidato il compito di andare due mesi in America. Il suo obiettivo è quello di scrivere la trama di un film da ambientare proprio negli Stati Uniti. Non esita a partire, per trovare l’ispirazione adatta. Inoltre, una volta arrivata, si imbatte alla ricerca dell’uomo di cui si era innamorata quasi vent’anni prima. Il suo nome é Richard, un americano, all’epoca scappato da un campo di concentramento e ospitato in casa della famiglia di Giò per qualche mese.
Quel mese bastò affinché lei se ne innamorasse perdutamente, pur avendo soli dodici anni rispetto a lui, già ventenne. Fu un rapporto per lo più platonico, fatto di tenerezza e affetto. Poi Richard fu costretto a fuggire, in seguito allo scoppio di una bomba e, di lì a pochi giorni, arrivò una lettera a informare tutti della sua morte. Un duro colpo, ma per fortuna fu solo un tremendo errore. Ma Giò lo scoprì dopo tanti anni. Lo intravide infatti, come una sorta di miraggio, durante una festa organizzata, in onore del suo arrivo, in America. E grande fu la sua determinazione nell’esplorare il continente americano, pur di ritrovare definitivamente l’uomo del suo passato.
Nell’America descritta da Oriana Fallaci sono racchiuse sia Troia che Itaca. E’ innanzitutto un’America da conquistare, come in guerra, in cui farsi conoscere e fare successo. Un luogo dove combattere i limiti, le convenzioni e le ingiustizie degli schemi imposti da una società maschilista.
Allo stesso stesso tempo, l’America rappresenta anche un’Itaca moderna in cui ritrovare l’amore perduto. Questa volta però è la donna stessa a muoversi. Si alza, “fa le valigie”, esce dalla zona di comfort e rischia. Va a prendersi tutto ciò che crede di meritare. Non esistono attese, ma solo la volontà di raggiungere ciò che il proprio cuore desidera.
La caratterizzazione dei personaggi
Oriana Fallaci voleva rompere gli schemi e i luoghi comuni, su questo non c’è dubbio. Lo fa soprattutto attraverso una particolare caratterizzazione dei personaggi.
Attribuisce a Giò tratti virili:
“Ogni volta che si guardava allo specchio restava un po’ delusa. Si sentiva un corpo robusto ed invece il corpo dentro lo specchio era fragile. Aveva scelto Giò come abbreviativo di Giovanna e nome d’arte poiché in questo modo poteva confondersi con il nome di un uomo”.
La Penelope della Fallaci è un animo da uomo in un corpo da donna. Dimostra di avere un carattere forte, a tratti aggressivo e non lascia trasparire facilmente le sue debolezze:
“Giurò, infatti, a se stessa che non avrebbe mai pianto e ci riuscì per tanto tempo”.
Dopo aver vissuto i suoi primi dolori da piccola e dopo aver visto la madre soffrire, si impone di non passare una vita a piangere piegata su un ferro da stiro, ma di essere sempre forte e “guerriera”. Arriva persino ad estremizzare questa volontà, reprimendo ogni manifestazione di fragilità, come generalmente fanno gli uomini.
L’assenza delle lacrime della donna, in quasi tutto il romanzo, è per i lettori sicuramente una delle differenze più evidenti rispetto alla Penelope mitica, che manifesta invece sia gioia che dolore nei confronti dello sposo con tante tante lacrime. Questa qui invece è una donna che fin da piccola non piange neanche per se stessa, figuriamoci per un uomo.
A tale proposito, è interessante come il professor Franco Zangrilli, definisce
Giovanna, (Giò):
Franco Zangrilli
“una Penelope alla rovescia perché ha l’animo di Ulisse, è l’ibridazione di vari miti maschili e femminili. E’ una Penelope ribelle,
neo-femminista e contemporanea.
Per contrasto, Oriana Fallaci descrive Richard, la figura maschile, come un anti-Ulisse:
“lui, dai lineamenti del viso femminei e delicati e quei ricci rossi che rimandavano ad una capigliatura femminile…un uomo che non si era mai distinto per coraggio e omertà, non era fatto per andare alla guerra. Lui eterno fanciullino, comandato come una marionetta dalla madre, il rapporto con la quale era morboso : non diventerà mai un uomo. La fatica di crescere gli è intollerabile”.
Un uomo in continua inerzia ed incline all’inettitudine.
Giò e Penelope si incontrano nel romanzo della Fallaci
La nostra Penelope vincerà la sua guerra in America? Sarà capace di far valere il suo talento di donna in carriera, in una società maschilista? Ma soprattutto riuscirà a mettere pace alla guerra del cuore? Non vi svelo niente, invitandovi a leggere questo meraviglioso libro e scoprirlo da soli.
Ma ciò che tengo a sottolineare è che, al di là di quella che potrebbe sembrare una eccessiva schematizzazione, seppure rovesciata, della figura maschile e femminile, l’obiettivo di Oriana Fallaci era quello di far capire, senza troppi schemi, che essere uomini tutto d’un pezzo non significa non avere mai debolezze. Al di fuori dei luoghi comuni, un uomo deve saper anche piangere. D’altronde Ulisse stesso aveva pianto, una volta arrivato nell’isola di Calipso. Perché facciamo più fatica a ricordare questa parte della storia? E’ la dimostrazione che la forza di un uomo è più credibile, se è capace di mostrare anche le proprie fragilità.
Allo stesso modo, in ogni donna si nasconde una Penelope che è stanca di aspettare a casa e che apre la porta per conquistare la vita. Proprio per questo, la Fallaci lascia che la protagonista torni più volte sui suoi passi e faccia le sue scelte senza condizionamenti, da donna libera ed indipendente.
Ma ecco poi il finale inaspettato. Per tutto il romanzo, l’obiettivo è quello di far entrare noi lettori nella testa di una donna, che vuole dimostrare al mondo di non essere da meno degli uomini. Ma alla fine la scrittrice fa un passo indietro, anche per non rendere troppo inumana questa donna.
Non è l’eliminazione completa delle lacrime, a rendere una donna forte e proprio per questo alle lacrime della donna è dedicato l’ultimo rigo.
Quando la vita la porterà ad ammettere a se stessa che un involucro, apparentemente forte, può nascondere le più grandi fragilità. Ma proprio queste, possono essere punti di forza e non di debolezza. Non c’era più bisogno quindi, di reprimere ciò che alle donne viene più naturale : l’espressione delle proprie emozioni.