Il regista di Pulp Fiction esordisce nel panorama letterario con il romanzo “C’era una volta a Hollywood”
Quentin Tarantino pubblica il suo primo libro. E tutti immaginiamo una Cadillac Eldorado del ‘65 rosso cremisi con le sospensioni rinforzate e la carrozzeria tirata a lucido fila lungo Santa Monica Boulevard, davanti al cinema “The Stadium Theatre” con un’insegna che recita “No decent girl can escape – The defilers – adults” che trasmette contenuti non proprio adatti ai più giovani.
In realtà, non sapevo cosa aspettarmi da Quentin Tarantino alla scrittura. Il regista più pop e pulp che il cinema contemporaneo ci offra, ha deciso di metter piede (un senso figurato utile per entrare nel linguaggio tarantiniano) nella letteratura con un romanzo che si svolge nell’universo del suo ultimo film – e di cui ne è omonimo: C’era una volta a Hollywood. Il regista statunitense ha più volte dichiarato che il prossimo sarà il suo ultimo film. E, nel web, tra i fan impazzano le teorie su che tipo di film sarà: un ultimo volume di Kill Bill, un film sui fratelli Vega o, addirittura, un capitolo di Star Wars. Ma quello stronzo (sempre per entrare nel linguaggio tarantiniano) spiazza tutti e pubblica un romanzo. Facile, no?
Un romanzo “alla Quentin Tarantino”?
Piccola premessa puramente editoriale: in Italia viene pubblicato dalla casa editrice “La nave di Teseo” e tradotto da Alberto Pezzotta. Finito di stampare nel luglio del 2021, gode già di tante richieste. Purtroppo, qualche errore ortografico di troppo c’è: mancano delle doppie e, alle volte, vengono invertite delle lettere all’interno delle parole. Ci può stare? Forse sì, vista l’ampia richiesta e la celerità nella pubblicazione. Molto positiva, invece, la traduzione: uno stile asciutto (come la maggior parte dei logorroici dialoghi tarantiniani) ma mai banale; linguaggio fluido e crudo al punto giusto, molto coinvolgente nelle fasi più documentaristiche delle molte dissertazioni cinematografiche.
Siamo a Hollywood sul finire degli anni ’60, esattamente come nel film. Abbiamo modo di relazionarci con gli stessi personaggi che abbiamo conosciuto nel grande schermo, con una trama che si svolge similmente. La profonda differenza – che solo un romanzo può garantire – sta nella particolareggiata introspezione di ogni personaggio. Da Marvin Schwarz a Charles Manson, passando per Rick Dalton e Cliff Booth, le implicazioni psicologiche e le informazioni biografiche si fanno più accurate. Si sciolgono i dubbi sul passato di Cliff, si riscrive la storia dell’arrivo a Hollywood di Sharon Tate e si compie insieme a Rick un percorso (quasi) terapeutico.
Come approfondire un universo narrativo secondo Quentin Tarantino
Un romanzo che sembra una guida turistica. Similmente al film, i personaggi sono spesso in movimento in una Hollywood che vive il ricambio generazionale: i giovani hippy a piedi scalzi con quelli che Tarantino definisce “dei tempi di Eisenhower”, in un continuo scontro e incontro di epoche diverse tra i luoghi simbolo di Los Angeles. Ma non solo un viaggio fisico. Oltre al viaggio spirituale compiuto da Rick, alle digressioni di Cliff o alle riflessioni di Manson, ci sono anche progetti inesplorati dello stesso Quentin Tarantino.
Le dissertazioni cinematografiche sono affidate a Cliff Booth, in una sorta di meta-narrazione in cui la cinefilia maniacale di Quentin Tarantino viene prestata allo stuntman di Rick Dalton. Cliff, tra spaghetti-western e Akira Kurosawa, non risparmia critiche feroci al cinema western statunitense o all’intellettualismo di Michelangelo Antonioni e di Truffaut. Le riflessioni critiche di Cliff fungono da vero e proprio manifesto ideologico di Quentin Tarantino: lo stuntman imputa una sostanziale mancanza di aderenza alla vita vissuta, ritenuta vera. Il western statunitense troppo immaturo, la critica troppo invadente, i registi spesso troppo boriosi.
Un romanzo fiabesco
Ma non ha utilizzato il romanzo soltanto per una critica al cinema. Tarantino ha dato la sua lettura di un determinato periodo storico, e l’ha fatto con il suo codice: il cinema.
I protagonisti sono attori, stuntmen, produttori cinematografici, registi. Non fanno altro che guardare film in TV, o parlare di come realizzarli. E l’intento è chiaro: offrire una didascalia di come è cambiato il modo di fare cinema, ma anche di come il pubblico lo segue. Creando un universo ucronico, parallelo e, di fatto, impossibile ma verosimile.
Come suggerisce il titolo, abbiamo un’atmosfera onirica e fiabesca. Con l’obiettivo di riscrivere – tramite l’ucronia, appunto – il tragico eccidio di Cielo Drive. L’esordio letterario di Quentin Tarantino ha fornito ottime indicazioni in vista del ritiro, purtroppo sempre più prossimo, dalla regia. E quasi che viene la voglia di un lavoro sui progetti inesplorati del regista di Knoxville. Un’opera sui fratelli Vega? Un romanzo sulle gesta di Aldo l’Apache di Bastardi senza gloria? Gli spunti non mancano. E nemmeno i piedi da cui trarre ispirazione, Quentin.