Il verismo napoletano del poeta e le storie dei bassi, dei vicoli bui e delle Assunta Spina
Salvatore Di Giacomo, oltre a rappresentare il “poeta massimo” napoletano, deve essere considerato il maggior esponente del Verismo di stampo partenopeo. Movimento letterario che, ispirandosi al naturalismo francese (in particolare a Émile Zola), teorizza una rigorosa fedeltà alla realtà effettiva delle situazioni, dei fatti, degli ambienti e personaggi.
Il Verismo tenderà a raccontare la vita degli umili che si affannano nella lotta per la sopravvivenza contro la fatalità del destino. Il narratore, nell’attuazione dei dettami veristi, si eclissa, resta “invisibile“, non intervenendo direttamente nel racconto. Fulgido esempio di narratore e novelliere “eclissato”, è certamente il nostro Di Giacomo; egli può ritenersi sostanzialmente diverso rispetto al poeta di Era de maggio, dei versetti supremi, intrisi di inarrivabile lirismo e capacità evocativa.
La lingua “corporea” ed i personaggi umili: l’esempio di Assunta Spina
Nel Di Giacomo delle novelle, del teatro, la sostanza del linguaggio è più figurativa, più “corporea” e tattile; a differenza della sua produzione poetica, dove la parola attinge il suo senso dal suono, dal bello.
La materia del narratore e del drammaturgo possiamo definirla, effettivamente, veristica: i vicoli bui, i bassi affollati, i dormitori da da un soldo, gli ospizi del povero, l’ospedale, la prigione, la malavita, gli storpi, le donne perdute, di cui Assunta Spina ne diventa paradigma: una donna che tradisce il suo uomo quand’egli è in carcere. Una volta liberato, questi uccide il rivale e Assunta si dichiara colpevole di un delitto che, in realtà, non ha commesso.
Bella époque napoletana: Salvatore Di Giacomo e verismo
La figura del poeta, nell’ambito dei tiempe bbelle della Bella époque napoletana, è controversa e singolare: è assiduo frequentatore del Gambrinus – punto di riferimento per gli intellettuali napoletani dell’epoca – eppure si distacca dalla frivola mondanità che imperversa: un animo schivo, estremamente sensibile e pudico. Non solo, Di Giacomo, anche da un punto di vista meramente letterario, rifiuta le mode letterarie coeve, come il classicismo del Pascoli, il barocchismo del D’Annunzio.
Le “lingue” letterarie del Di Giacomo gli consentono di scrivere di Napoli; con tutto quello che un autore, poeta, narratore e giornalista può scrivere, componendo il più affascinante e dolente ritratto della città. Dalle scene arcadiche delle ariette (che tanto richiamano quel grandioso Settecento Napoletano a cui il poeta guarda con nostalgia); fino al ginepraio della malavita e della miseria.