Scontri Israele-Palestina: il suono delle armi non si arresta

Scontri-Israele-Palestina

In attesa di un “cessate il fuoco”, la popolazione civile e la comunità internazionale chiedono pace e giustizia per il popolo palestinese

La settimana scorsa la questione israelo-palestinese è tornata ad accendersi e il suono delle armi non si arresta negli scontri fra i due stati. Proteste e violenze imperversano in numerose città, tra la Striscia di Gaza e lo stato d’Israele.
In pochi giorni, il conflitto ha già seminato morte e distruzione intorno a sé, e i missili hanno colpito numerosi edifici e abitazioni.
In attesa di un accordo di pace, lo scontro fra Israele e Palestina oggi si rivela agli occhi della comunità internazionale come una piaga insanabile. É profonda quanto i secoli che l’hanno preceduta e causata.

Le origini del conflitto: la nascita del sionismo e la Dichiarazione Balfour

Le origini del conflitto, che da lungo tempo oppone israeliani e palestinesi, possono essere ricercate, in prima istanza, nella nascita del sionismo. Si tratta di un movimento politico-religioso sviluppatosi verso la fine del XIX secolo, quando l’ondata crescente dell’antisemitismo stava travolgendo l’Occidente. L’avversione nei confronti della religione e della cultura ebraiche, infatti, indusse i sionisti ad elaborare una teoria che si fondava sulla necessità di costituire nel territorio palestinese una formazione politica autonoma. In questo modo, il nuovo stato avrebbe dovuto accogliere e riunire tutti gli ebrei dispersi nel mondo.
Pochi decenni più tardi, l’avvento della Prima guerra mondiale e la caduta dell’Impero Ottomano determinarono la costruzione, attraverso la Dichiarazione Balfour, di mandati francesi e inglesi in varie regioni del Medio Oriente.
In questo contesto, il movimento sionista richiese ed ottenne dal Regno Unito – che governava il territorio palestinese – il trasferimento degli ebrei nella regione araba.

Di conseguenza, l’enorme afflusso di immigrati ebrei e la presenza di un governo imperialista provocarono il risveglio dello spirito nazionalista degli arabi palestinesi, che da secoli abitavano l’area occupata.

Conflitto arabo-palestinese: la fine del mandato inglese e la fondazione dello Stato di Israele

Alla fine della Seconda guerra mondiale, e precisamente nel 1947, le Nazioni Unite approntarono un piano di spartizione del territorio palestinese. La cosiddetta risoluzione 181 prevedeva la suddivisione della Palestina in due regioni distinte. Gran parte dell’area precedentemente occupata dagli arabi fu destinata alla componente ebraica; la restante parte, in una percentuale largamente minore, venne assegnata alla popolazione palestinese.
L’anno seguente, il 14 maggio del 1948, la fine del mandato britannico precedeva la fondazione dello Stato ebraico d’Israele.

L’esodo palestinese e la Conferenza di Losanna

La risoluzione 181 e lo scoppio di rivolte e disordini, causarono l’emigrazione volontaria o l’espulsione di numerosi palestinesi, costretti a rifugiarsi presso i Paesi confinanti.
In seguito al rifiuto da parte del governo israeliano, del “diritto al ritorno” promosso dalle Nazioni Unite, nel 1949 la Conferenza di Losanna stabilì che lo stato ebraico dovesse accogliere circa 75.000 profughi arabo-palestinesi.

Scontri Israele-Palestina: la nascita dell’OLP e la Guerra dei sei giorni

La questione israelo-palestinese ritornò al centro del dibattito e delle politiche internazionali poco meno di un ventennio dopo.
Nel 1967, infatti, il governo di Israele occupò, in un conflitto durato sei giorni, l’intera regione palestinese, conquistando la Cisgiordania, la Striscia di Gaza e la zona orientale della città di Gerusalemme. Perseverando nella violazione delle convenzioni stabilite dall’ONU, la politica israeliana indusse la resistenza palestinese a riunirsi nell’OLP, l’Organizzazione per la liberazione della Palestina.

Questione israelo-palestinese: lo scoppio della prima Intifada e la nascita dello Stato indipendente di Palestina

Dopo numerosi anni in cui si susseguirono contese, rivolte, scontri e lotte armate, nel 1987 si giunse allo scoppio della prima Intifada (“rivolta”). Nelle regioni occupate dal governo israeliano – in particolare, Cisgiordania e Striscia di Gaza – movimenti popolari avviarono una vera e propria guerra civile.
Protagonista indiscussa della prima Intifada si rivelò l’organizzazione politica e paramilitare di Hamas. A differenza dell’OLP, il movimento di matrice islamica promuoveva la resistenza armata per combattere l’occupazione israeliana e ottenere la liberazione e l’indipendenza dell’intero territorio palestinese.
Gli scontri fra civili e forze armate furono indispensabili affinché, il 15 novembre del 1988, l’OLP proclamasse la nascita dello Stato indipendente di Palestina. Ma ciò non valse a garantire un accordo di pace che ponesse fine a quel “rancore” politico-sociale che avrebbe segnato i decenni successivi.

Scontri Israele-Palestina, 6 maggio 2021: l’occupazione militare del quartiere di Sheikh Jarrah

In poche settimane, gli scontri fra israeliani e palestinesi hanno ricoperto l’intera regione, rinnovando un conflitto mai realmente terminato.
Il 6 maggio scorso, infatti, Gerusalemme è stata il centro di un gran numero di rivolte organizzate da cittadini palestinesi. Il movimento di protesta è stato innescato da una disposizione della Corte Suprema di Israele, che prevede lo sfratto di alcuni residenti palestinesi del quartiere di Sheikh Jarrah, situato nella parte orientale dalla capitale israeliana. L’area, pur essendo compresa all’interno dei confini israeliani, è difatti parte integrante di quei territori che lo stato ebraico ha sottratto al popolo palestinese durante i conflitti precedenti (come d’altronde dimostra la maggioranza araba che abita la zona est della città).
Al momento l’udienza è stata rinviata; ma le contestazioni hanno assunto, in maniera progressiva, il carattere di veri e propri scontri violenti, che hanno riacceso le antiche ostilità fra i due stati.

Scontri Israele-Palestina: l’inizio degli attacchi militari e l’attesa di un accordo di pace

La controversia, legata al trasferimento di sette famiglie palestinesi residenti nel quartiere di Sheikh Jarrah, si inserisce in un più vasto e complesso progetto politico. Il governo israeliano, infatti, intende assicurare alla zona orientale della capitale una componente ebraica, trasformando in colonie le aree caratterizzate da una forte presenza araba.

L’azione politica perseguita dallo Stato d’Israele, ha condotto Hamas – l’organizzazione politica e paramilitare che governa i territori palestinesi – ad attaccare lo stato ebraico attraverso l’utilizzo di razzi e missili. A sua volta, Israele ha colpito diversi obiettivi, governativi e civili, nella Striscia di Gaza.

Mentre una nuova strage si consuma e numerose vittime pagano con la propria vita, i governi e la comunità internazionale esortano i due stati a stabilire un accordo, nel pieno rispetto dei diritti umani. Un accordo di pace che possa chiudere, e definitivamente, il capitolo sugli scontri e le contese tra Israele e Palestina.

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