Speravo de morì prima… di vederla: la serie tv su Totti

La miniserie autobiografica su Francesco Totti “Speravo de morì prima” con protagonisti Pietro Castellitto e Greta Scarano è sbarcata su Sky Atlantic

Premessa numero uno: Francesco Totti mi ha fatto innamorare del calcio. Il merito se lo divide con Ronaldinho, in realtà, ma poco conta.
Premessa numero due: non sono romano, neanche romanista. Ammiro il “pupone” e le gesta calcistiche che furono, ma non sono uno di quelli che “Totti è l’VIII Re di Roma”.
Ma l’autobiografia curata dal grandissimo Paolo Condò l’ho letta. Si tratta della classica autobiografia di un calciatore appena ritirato: tanta nostalgia, un po’ di iperboli mitizzanti, qualche aneddoto da spogliatoio molto simpatico e quel senso di impotenza nei confronti del tempo che scorre. Senso che, per ovvie ragioni, non diminuisce neppure di fronte ad un monumento come l’ex capitano della Roma. “Speravo de morì prima” è basata proprio su questa autobiografia: “Un capitano”. Dunque, quando su Sky è iniziata a passare in rassegna spasmodica la pubblicità di questa miniserie, ho drizzato le orecchie e ho aspettato che uscisse per prenderne visione. I trailer non erano molto incoraggianti, ma il cast non era niente male: Pietro Castellitto che interpreta Totti, Greta Scarano come Ilary Blasi e Gianmarco Tognazzi come Luciano Spalletti.

I primi episodi di “Speravo de morì prima”

Il 19 Marzo sono usciti i primi due episodi. La narrazione parte dall’esterno di un carcere, la moglie di un detenuto aspetta che esca suo marito, ma quest’ultimo chiede al direttore di farsi altri 10 giorni di carcere. Perché? In settimana sarebbe passato a visitare il carcere lui, il capitano: Francesco Totti.
Ci si immerge nel racconto e scopriamo che Totti ha a che fare con il ritorno dall’infortunio. C’è apprensione in famiglia, ma soprattutto dentro di lui. Il timore è che, a 39 anni, non abbia più la forza di rialzarsi. Si alternano brevi flashback che mostrano i primi passi con il pallone ed espedienti del presente della narrazione, come il buon rapporto con l’allenatore Rudi Garcia e il suo esonero, l’amicizia con De Rossi ed i suoi hobby. Si tenta di delineare l’aspetto umano del capitano della Roma, il suo rapporto con Ilary e i suoi figli. Emergono i primi problematici rapporti con il nuovo allenatore Luciano Spalletti. C’è qualche dura discussione tra i due e, proprio le frizioni tra i due, danno ritmo alla serie TV.
Il secondo episodio vede l’acuirsi dei contrasti tra il capitano e l’allenatore fino allo scontro che, fin dai primi momenti, è sembrato inevitabile. La famiglia, i tifosi e parte dei compagni si schierano con Francesco, mentre Spalletti viene dipinto come il vero e proprio villain della storia.

Espedienti, personaggi e interpretazioni: cosa non funziona in “Speravo de morì prima”

É la base di ogni tecnica narrativa: un protagonista con cui il pubblico deve empatizzare, un antagonista da odiare, gli aiutanti dell’uno e dell’altro sullo sfondo ed una trama fatta di complotti orditi e sventati, obiettivi da raggiungere culminanti in un finale col botto e/o moralistico. Sembra davvero un racconto fiabesco. Ma c’è davvero il bisogno di rendere Totti in questo modo?
Il litigio con Spalletti è una storia che ogni sportivo conosce, con l’ex 10 della Roma che ne ha parlato a più riprese.
Ma non abbiamo mai sentito la versione del tecnico toscano. Poi Totti è già di suo un’istituzione, a Roma guai a parlarne male. Di riflesso, Spalletti viene ricordato con rancore da gran parte dei romanisti. Dunque, perché enfatizzare così tanto l’epica di Francesco contro la malizia di Luciano? Il continuo ricorso al monologo interiore che recita Castellitto, trasforma l’opera in una narrazione che ricorda i migliori documentari dell’Istituto Luce su Benito Mussolini: più che un’autobiografia filmica, sembra un’autocrazia “tottiana”, narcisistica e autoreferenziale.
Da questa forzatura tematica ne escono male anche quasi tutti gli attori, ma soprattutto i protagonisti: Castellitto nell’intento di portare sullo schermo una versione stilizzata di Totti, emulandone la voce, l’intonazione e la prossemica, ottiene un risultato che sembra caricaturale, dai tratti parodistici e pure antipatici. Il protagonista sembra afflitto da un vittimismo cronico o da una crisi di accerchiamento. Tutto ciò complica il processo di immedesimazione del pubblico. Paradossalmente, è il “cattivone” Luciano Spalletti, interpretato da un Gianmarco Tognazzi sugli scudi, ad uscirne benissimo. A ragion veduta, è Spalletti che deve tirare su la Roma da un periodo difficile con una squadra sfiduciata e un capitano – e miglior giocatore, nonostante tutto – in modalità “frignone”.

Chi ben comincia… ma non è questo il caso

Sia chiaro: non siamo neppure alla metà di questa miniserie televisiva, eppure la partenza è tutt’altro che incoraggiante. Ci sono degli aspetti positivi, ma a mio avviso involontari. A me ha strappato più di una risata, ma l’intento non era assolutamente quello di far ridere, anzi. É una serie TV che si prende sul serio e vuole davvero ergere un idolo a mito. É giusto sorridere se c’è questo tentativo in atto? Il retrogusto che le prime due puntate lascia, è piuttosto amaro: Totti che prova a raccontare l’epica di un ritorno trionfale, delineando un profilo umano a metà tra l’emarginato e il machista – palesemente contraddittorio – non rendono giustizia al grande campione che è stato. Ed è un gran peccato.

L’unica nota positiva è che, personalmente, ora non aspetto altro che la serie Tv su Spalletti: Tognazzi assoluto mattatore dello spettacolo.

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