Il Giovedì Santo a Napoli e la tradizione dello “Struscio”

Il giro delle “sette Chiese”, lo struscio del Giovedì Santo e la poesia di Raffaele Viviani

Napoli è da sempre culla di civiltà e tradizioni inalterate: si provi a spostare la lancetta dell’orologio all’indietro, con uno sguardo rivolto ad epoche più o meno lontane, e si potrà scorgere quanto – anzitutto durante i periodi che celebrano le ricorrenze religiose – questa straordinaria città mantenga, inalterata, la sua profonda ed immutabile identità. Anche il più ricalcitrante degli esseri umani, restio a comprendere l’essenza della vita stessa, non potrà che affievolire l’oltranzismo delle sue posizioni dinanzi al profumo inebriante delle pastiere, casatielli dolci e salati, taralli che invadono la nostra città durante il periodo Pasquale. Napoli, durante questo momento dell’anno, brulica di dolci e Passione, di tradizione e di Fede. Lo struscio del Giovedì Santo è certamente una delle espressioni precipue che caratterizzano la nostra città.

Lo Struscio del Giovedì Santo ed il “giro delle sette Chiese”

Le Chiese, il Giovedì Santo, restano aperte fino alle ventitré gareggiando per l’addobbo del Sepolcro più bello; i negozi espongono le novità primaverili nelle vetrine illuminate. I Sepolcri devono essere visitati in numero dispari e solitamente il giro deve riguardare tre, cinque o sette chiese, ma anche questo dovere della religione si è trasformato in un avvenimento sociale, dando vita allo struscio. Fino a qualche anno fa, le giovani donne, accompagnate spesso dalle madri desiderose di “accasarle”, facevano sfoggio di abiti lunghi e, con la scusa del giro delle Chiese, ripulendo con gli orli delle gonne le strade di via Toledo e Chiaia, cercavano la guardata giusta del giovane napoletano in cerca di moglie e d’amore. Purtroppo il più delle volte era fatica sprecata e rincasavano – come si dice nella nostra lingua – cu ll’uocchie chine i ‘e mmane vacante! Persino Ferdinando II di Borbone prendeva parte allo struscio, in divisa da colonnello degli ussari e alla processione del Giovedì Santo con la famiglia reale e la corte.

La poesia di Raffaele Viviani

Si è più volte sottolineato lo strettissimo legame che unisce l’anima popolare, autentica e in un certo senso “tradizionale” del popolo napoletano con la drammaturgia, la poesia di Raffaele Viviani, autore che certamente può essere considerato l’espressione diretta della Napoli più vera ed autentica. Proprio attraverso il suo inconfondibile stile, la sua lingua mai banale o “pantagruelica”, il grande Viviani riesce a descrivere la storica tradizione napoletana dello Struscio.
Le sette Chiese originariamente erano quelle di San Nicola alla Carità, Spirito Santo, Madonna delle Grazie, San Liborio alla Pignasecca, San Ferdinando di Palazzo, San Francesco di Paola e Santa Brigida. Chiese che anticamente erano visitate dai napoletani percorrendo la già mondana via Toledo, proprio come Viviani ricorda nella sua poesia ‘O struscio:

Giovedì Santo ‘o «struscio» è nu via vaie:
Tuledo è chiena ‘e gente ‘ntulettata,
ca a pede s’ha da fa’ sta cammenata,
pe’ mantene’ n’usanza antica assaie.
– Mammà, ci andiamo? – Jammo. Ma che faie?
– Vediamo due sepolcri e ‘a passeggiata.

E ‘a signurina afflitta e ‘ncepriata

cerca ‘o marito ca nun trova maie.
‘A mamma ‘areto, stanca, pecché ha visto
ca st’atu «struscio» pure se n’è ghiuto,
senza truva’ chill’atu Ggiesucristo,
s’accosta a’ figlia: – Titine’, a mammà,
ccà cunzumammo ‘e scarpe. – L’ho veduto.
E me l’hai detto pure un anno fa.

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