Teresa B., il coraggio di denunciare

Teresa B.: il Rotaract club di Napoli Castel dell’Ovo, insieme ad altri club campani, ci racconta questa storia, sottolineando l’importanza della denuncia e della perseveranza nelle battaglie legali contro la violenza

Chi è Teresa B.?

Teresa B., è una donna coraggiosa. 
Poi, Teresa è anche una vittima.
Vittima di un mondo sbagliato, vittima della violenza, della legge del più forte, della camorra e della disattenzione delle istituzioni. 
Il 20 settembre del 2010 viene uccisa da due sicari, per strada. 
Mentre cammina, quattro colpi di pistola avrebbero dovuto metterla a tacere e cancellarla da questo mondo. 
Per fortuna, ciò che ha fatto Teresa non è andato via con lei, non è stato vano. 
Non l’hanno zittita quattro colpi di pistola.
L’uomo nero delle favole, quello di quando eravamo bambine, proprio lui, è la causa e l’inizio di questa storia.
Nel 2008 la figlia di Teresa si reca a casa di un’amica, vuole giocare.
Proprio lì, durante quello che doveva essere un pomeriggio spensierato, l’uomo nero la macchia per sempre. La bambina tace gli abusi sessuali subiti perché minacciata con una pistola, ma quando Teresa lo scopre nessuno può fermarla. Nemmeno le intimidazioni. Nemmeno la paura.
È così che una mamma ama, è così che una donna difende sua figlia.
Ed è così che Teresa è morta

L’evento in onore di Teresa B.

I Rotaract club della Campania, si assumono la responsabilità di raccontare questi avvenimenti nella giornata internazionale contro la violenza sulle donne, invitando professionisti d’eccezione, tra cui proprio il magistrato Carlo Spagna, autore del libro “Teresa B.”.
Insieme a lui, erano presenti anche l’avvocato Antonella Liguori, specializzata in diritto di famiglia e difesa dei minori, la psicoterapeuta e consulente relazionale Fabiana Esposito, la professoressa Patrizia Gargiulo, e la dottoressa Fiorella Girace, presidentessa della sezione stabiese del centro italiano femminile della regione Campania.

Teresa B., il giudice ci racconta del libro

L’idea del libro nasce così. Tre anni fa, il Magistrato si trova ad una manifestazione contro la violenza sulle donne e proprio lì incontra Pina, sorella di Teresa. In questa occasione, Pina racconta che per gli abusi subiti e l’omicidio della sorella non hanno ricevuto alcun risarcimento dall’imputato, risultato inadempiente.
Il giudice decide quindi di scrivere questa storia, capisce l’importanza di diffonderla, di raccontarla. 
Vuole sopperire alle mancanze del sistema giudiziario in quella occasione e vuole dare coraggio a quante, avvilite e sole, rinunciano a denunciare ciò che subiscono.
Il Magistrato ci spiega che i proventi del libro sono interamente devoluti alla famiglia della donna uccisa.
Il libro nasce da questa idea e ricalca l’ambientazione della sentenza, anche se i tecnicismi sono stati eliminati per rendere la lettura agevole ed accessibile.
A primo acchito, può sembrare che l’argomento abbia poca attinenza con la violenza sulle donne, visto che si trattò della vendetta di un camorrista pedofilo. Il giudice Spagna, quindi, ci chiarisce:

“C’è un’attinenza invece: di fondo rimane sempre come oggetto centrale l’atteggiamento che si ha nei confronti del corpo della donna e la cultura di cui l’imputato era portatore. Basti pensare che tra gli argomenti che usò a sua difesa, c’era il fatto che Teresa fosse venuta meno ad un patto silente: certe faccende non andrebbero mai portate di fronte all’autorità, ma andrebbero piuttosto risolte in privato. Alla base c’è la convinzione di poter comprare tutto, anche il silenzio delle persone
Un altro collegamento è il coraggio della donna di denunciare e la risposta delle istituzioni che deve essere ferma e decisa davanti a questo fenomeno che sta andando a cronicizzarsi.”

E poi continua:

“Quello che mi preme dire è che Teresa rimase coraggiosa anche quando uno dei suoi due killer si avvicinò alla figlia per intimidirla e per fare in modo di alleggerire la sua deposizione. 
Si tratta di un punto importante sia della vicenda processuale sia del libro.
Le donne devono avere il coraggio di portare avanti le proprie accuse, rimanere ferme.
Le istituzioni in questa occasione furono in parte presenti, mi riferisco alla scuola, alla polizia e al sindaco.
Mancò qualcosa a livello giudiziario. Ci furono disattenzioni”

Il garantismo imperfetto

Il concetto di garantismo, secondo cui lo stato si fa “garante” dei diritti del cittadino di fronte ai poteri dello stato stesso, ha un’implicazione paradossale: il garantismo imperfetto. Maggiore attenzione nei confronti dell’imputato, volta alla tutela dei suoi interessi, rispetto alla vittima che ha subito effettivamente il danno.
L’imputato provò a proporre il divorzio alla moglie come soluzione per sottrarre beni al risarcimento. Il giudice Spagna tentò tramite un’intercettazione di farlo presente, ma ancora oggi le vittime non sono state risarcite.
Spagna ci tiene a denunciare un’altra violenza trattata con leggerezza: la pedofilia. Quella dei bambini è un’altra categoria che non viene difesa con la giusta fermezza. 
I tentativi di arginare questo fenomeno sono sempre eccessivamente deboli.
Il Magistrato conclude il suo intervento lanciando un appello: 

“l’obiettivo del libro è dare coraggio. Rendere noto il fatto.
La ragazzina durante il processo venne in aula, rispose, ricostruì la sua vicenda dolorosa e raccontò i momenti degli abusi, sapendo tenere testa al difensore dell’imputato.
Lo stesso coraggio lo hanno avuto i parenti e cittadini di Portici.
Non sempre i testimoni accettano il rischio, c’è una diffusa omertà.
Questo denota una scelta, una presa di posizione. Quando non si è soli a combattere una battaglia, si acquista il coraggio di portarla avanti. Questo è il motivo per cui mi sta così a cuore la diffusione del libro.”

Teresa B. non si è piegata. Non facciamolo neanche noi.

L’avvocato Antonella Liguori ci ricorda l’importanza della prevenzione. Esistono tanti piccoli segnali d’allarme che spesso ignoriamo. Tanti motivi che dovrebbero spingerci a capire che una relazione è pericolosa.

“Non bastano provvedimenti cautelari che allontanano il persecutore. Essere strattonate, sopraffate e intimidite è già una violenza”.

L’avvocato ci parla della “dissonanza cognitiva”: un fenomeno che porta alla perdita di interesse persino verso la difesa dei propri figli.
Per questo motivo è davvero troppo importante educare le donne a denunciare al primo schiaffo ricevuto e a perseverare nelle proprie battaglie.
Poi ci svela un segreto: grazie alla sua esperienza professionale sa che la violenza non ha ceto sociale di appartenenza. La violenza si nasconde ovunque.
Una delle conseguenze della cultura della vergogna è proprio questa: spingere la donna alla rinuncia.
L’imputato del caso di Teresa B., era un uomo avvezzo alla violenza, ci rivela l’avvocato, ma esistono uomini “di tutto rispetto” violenti nei confronti delle donne. Si tratta tanto di violenze evidenti e gridate, quanto di violenze silenti, subdole e manipolatrici. L’istigazione al suicidio, per esempio. Trattare la donna come un oggetto, come una proprietà.
Privarla del proprio diritto al lavoro, imponendo su di lei un altro tipo di soggezione: quella economica. Si tratta forse di un retaggio culturale o semplicemente la negazione di una possibilità di fuga: l’autonomia.
Non sappiamo cosa accade all’interno delle quattro mura domestiche, è importante non giudicare mai. 
Poi, si parla di vittimizzazione secondaria. L’avvocato prende in esame il caso dell’articolo scritto da Feltri
Non esistono attenuanti:

“non c’è nessuna donna che se la sia cercata.
Ognuna deve rivendicare la propria libertà senza paura di essere giudicata, non conta che la ragazza fosse presente alla festa.”

Esistono diversi tipi di violenza, impariamo a non sottovalutarli

La psicoterapeuta Fabiana Esposito ci illustra i diversi tipi di violenza, nessuno di questi va sottovalutato.
Esiste la violenza sessuale che, però, ha poco in comune con l’atto sessuale vero e proprio.
È una violenza evidente.
Poi, esiste la violenza psicologica, più subdola e nascosta.
Infine, la già citata violenza economica, modalità per esercitare un controllo e imporre subordinazione.
La violenza di genere è talmente inserita nei nostri costumi, che sono le stesse donne a schierarsi contro altre donne, ci espone la dottoressa, alludendo al caso dell’insegnante torinese.
Ci invita anche ad un’altra riflessione da non sottovalutare: quante case sono diventate trappole durante il lockdown? Quante sono le donne che non possono considerare le mura domestiche un posto sicuro? Per quante di loro ogni giorno è una lotta silente per la sopravvivenza che, in questo momento storico, non ha via d’uscita? E, in ultima istanza, quanto si fa, concretamente, per non lasciare queste vittime abbandonate?

Vittime ignorate: i bambini

Poi ci aiuta a guardare altre vittime di questi processi, spesso sottovalutate: i bambini.

“La violenza assistita è una forma di abuso minorile. Provoca danni a lungo termine.
Impatta la capacità di socializzazione: il bambino deve tenere dentro una violenza di cui non può parlare. 
Ha conseguenze sul comportamento provocando impulsività e iperattività.
Contamina lo sviluppo cognitivo, danneggiando l’autostima, le capacità empatiche e intellettive.
È fondamentale non esporre i bambini “.

Cosa dobbiamo imparare dal caso Teresa B.

Tutti i professionisti presenti, fanno leva su un concetto in particolare: quanto la denuncia, il perseverare nella propria battaglia, siano componenti fondamentali nell’arginare la violenza di genere.
Ci sono occasioni in cui la risposta istituzionale non incoraggia l’iniziativa, ma il giudice Spagna ci invita a perseverare:

“il maschilismo è una malattia sociale: siamo il sud verso paesi anglosassoni, ma siamo il nord rispetto ai paesi arabi 
Mancano cultura e coraggio, ma anche l’incoraggiamento.
Occorre denunciare e io l’ho fatto, occorre parlare e io l’ho fatto.
Occorre denunciare, anche le istituzioni quando ne sono manchevoli”.

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