Vanessa Zappalà: la numero 41 quest’anno

vanessa zappala

Vanessa Zappalà, 26 anni, è stata uccisa ad Aci Trezza dall’ex fidanzato Antonino Sciuto la notte del 21 agosto, da noi molto prima

Aci Trezza.
Vanessa Zappalà passeggia con un’amica. 
Ha 26 anni. Aveva 26 anni. 

A strapparle la vita Antonino Sciuto, 38 anni, e tutti noi. Tutti noi che non abbiamo saputo proteggerti, regalarti una passeggiata con un’amica. Se puoi, perdonaci Vanessa. 

La notte del 21 agosto

Il 21 agosto Vanessa e la sua amica del cuore, Chiara, si allontanano qualche minuto dal loro gruppo per comprare le sigarette. Cinque minuti fatali. Chiara racconta di aver sentito la sua amica chiedere aiuto e poi, dopo qualche frazione di secondo, è stata impotente come tutti noi. Vanessa Zappalà era stesa a terra in una pozza di sangue

Antonino Sciuto, detto Tony, è stato ritrovato impiccato qualche ora dopo

I mesi precedenti

Quella notte è stata la punta dell’iceberg. 

Antonino aveva abilmente costruito questa torre di ghiaccio, giorno dopo giorno. Vanessa, però, era coraggiosa. Aveva fame di vita. Non si era arresa, aveva raccolto ogni prova di ciò che le stava accadendo con minuziosa attenzione e commovente speranza. “Il diario della libertà”, lo aveva chiamato. Aveva iniziato ad appuntare ogni giorno gli orari e i luoghi in cui lo sguardo omicida dell’ex fidanzato si faceva spazio di prepotenza nella sua vita, turbando la sua quotidianità con violenza. 

“9.45, 10.35, 13.05, 17.40, 19, 20.13”, ad ogni orario corrisponde una strada e una macchina diversa. Perché Antonino vendeva macchine, si preoccupava di non farsi riconoscere presentandosi ogni volta con un’auto diversa. Una violenza subdola. Vanessa doveva avvertire la sua minaccia, doveva averne paura, ma gli altri non dovevano rendersene conto. Vanessa doveva essere sola. Si chiama stalking, è punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni. Così non è stato.

L’otto giugno Antonino è stato arrestato dopo l’ennesimo episodio di stalking, ma il dodici giugno era già libero. A tenerlo lontano da lei c’era soltanto un’ordinanza restrittiva. 

Vanessa aveva affidato il suo diario della paura al comandante, perché della giustizia si era fidata. Così, siamo arrivati a qualche sera fa, tradendo la sua fiducia. 
Vanessa Zappalà è stata uccisa dai sette colpi di pistola di Tony, sì, ma esiste un altro fattore. Il fattore preponderante, perché no, non è un caso isolato. E no, non era il mostro delle favole. Era l’uomo della porta accanto. 

Vanessa Zappalà è la numero 41

In Italia, nel 2021, Vanessa Zappalà è la vittima numero 41. Solo l’ultimo nome di una lista sporca di sangue.
Com’è possibile? Non parliamo di malattia mentale, per una sola volta, riposizioniamo le cose. Almeno quando non possono più parlare, parliamo noi per loro e facciamolo con il rispetto che si deve alla questione.

Cosa c’è che non va in uno Stato che per quarantuno volte in un anno riempie pagine e pagine di giornali con parole giganti, promesse di aiuto, domande senza risposta, e qualche mese dopo si ritrova a dover fare la stessa cosa senza che nulla sia cambiato, nemmeno la punteggiatura nei titoli in prima pagina?

La responsabilità mediatica


È questione di fatti. Fatti e narrazioni. 

Per quanto ancora ci vogliamo raccontare la storia dell’uomo nero?
“Gelosia folle”, “malattia mentale”. No. Chiamiamo le cose con il loro nome, e per favore cerchiamo di mettere un po’ d’ordine. Quando la questione giace allo stato latente possiamo comprendere che sia difficile identificare, isolare, difendere, proteggere. Ma quando una ragazza di 26 anni prende il coraggio a due mani e si rivolge alle istituzioni per denunciare, cosa non le assicura ripercussioni anche peggiori? Chi c’è a proteggerla? Quando si fa manifesta la richiesta di aiuto, quando si palesa la paura, il disagio, il pericolo concreto, cosa ci difende? Se la reclusione è prevista quando il reato può essere reiterato, quale prova è più evidente di una quotidianità turbata?

Le vittime di femminicidio muoiono tutte della stessa morte, e le motivazioni non possono e non devono essere rintracciate nella gelosia patologica, nel troppo amore, rare malattie psichiatriche riconosciute sì, ma insufficienti a reggere questo filo del discorso.

Le 41 vittime di quest’anno sono state uccise perché trattate come meri oggetti, posseduti e poi cancellati. Utili finché ubbidienti, efficienti, poi da eliminare, da scartare. Abbattute come cavalli poco docili. Non diamo la colpa all’uomo nero delle favole, non esistono casi isolati. Siamo 41 in meno di nove mesi, tra le cinque e le otto vittime nella maggior parte dei mesi di quest’anno. Cosa ci serve ancora per renderci conto della voragine giuridica che ha trascinato al suo interno tutte queste donne?

Se non è il sangue, l’urlo d’aiuto, il quaderno di Vanessa, cosa vi farà ragionare?

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