Non si arresta la violenza contro la popolazione civile e i difensori dei diritti umani
In Colombia non si arresta la violazione dei diritti umani. Corruzione politica, aggressioni e genocidi costituiscono soltanto alcune delle numerose piaghe che lacerano un Paese diviso tra governo e forze armate. Dal 2019 il conflitto interno non si è mai spento, provocando oltre 1000 omicidi (tra civili e funzionari politici) in poco più di due anni.
La strage si consuma tuttora senza risparmiare i minorenni e riversando tutta la sua forza incontrollata sui difensori dei diritti umani. I diritti umani di una popolazione stremata dalla violenza e dal dolore, dalla povertà e dalla emarginazione sociale.
La frattura interna: un Paese diviso tra governo e forze militari
In mancanza di un solido apparato politico-amministrativo, la Colombia è attraversata da un incessante conflitto interno tra milizie armate indipendenti. I gruppi armati esercitano il controllo su numerose aree territoriali per sfruttarne le risorse naturali e assicurarvi il traffico di sostanze stupefacenti. Tale assetto ha aggravato ulteriormente la crisi economica ed esasperato la disuguaglianza sociale, affliggendo in modo particolare la popolazione contadina e le comunità native locali. Queste ultime, infatti, a cui è negata la possibilità di esprimere la propria libertà ed esercitare i propri diritti, sono vittime di efferati abusi e violenze da parte delle forze militari. Alcune fonti registrano numeri sempre crescenti di attacchi mirati alle comunità indigene; ad essi si aggiunge una serie indefinita, e mai confermata dal governo, di omicidi immotivati commessi a danno dei civili.
Violazione dei diritti umani in Colombia: la strage dei “falsi positivi” e l’accordo di pace del 2016
Soltanto verso la metà del 2019, inoltre, sono state rese note alcune informazioni relative alla strage dei “falsi positivi” perpetrata dai gruppi armati nel corso del nuovo millennio. Si tratta di uccisioni estensive di civili falsamente presentate dalle forze militari e dal governo centrale come vittime di combattimento. Tuttavia, a nulla è valso l’accordo di pace firmato tra il governo e le milizie nel 2016 per smantellare queste ultime dal territorio nazionale e ripristinare la stabilità interna.
Attacchi contro i difensori dei diritti umani: l’omicidio di Maria Bernarda Juajibioy
Nel corso della lotta interna al Paese, numerosi difensori dei diritti umani hanno riunito le forze per garantire alle comunità rurali e native il regolare svolgimento delle attività sul territorio, l’utilizzo delle aree fondiarie e la tutela dell’ambiente. Quasi ogni giorno si contano nuove aggressioni agli attivisti impegnati nella difesa della popolazione e del territorio: una strage incessante culminata, la settimana scorsa, nell’omicidio di Maria Bernarda Juajibioy.
L’attivista indigena è stata uccisa insieme alla sua nipotina da un commando delle forze militari. L’assassinio di Juajibioy rappresenta l’ennesimo episodio di una storia che racconta la violenza cieca prodotta dall’egoismo umano e dall’interesse materialistico.
Uno “spettacolo” lugubre e drammatico a cui la fredda indifferenza di un governo corrotto non manca di assistere.